Nel guscio – Ian McEwan

 

 

Una esperienza che tutti vorremmo ricordare, perché tutti l’abbiamo fatta e dalla memoria di tutti è stata cancellata, chissà perché.
Forse nel corso della nostra esistenza riappare qualche frammento di quel tempo, nei sogni o nelle percezioni inconsce, ma non siamo in grado di confrontarlo con la memoria cosciente. Però sarebbe fantastico ricordare quello che è successo all’inizio, prima di nascere, quando eravamo nella pancia della mamma.
Ian Mc Ewan racconta che il suo ultimo romanzo, “Nel guscio” nasce da una conversazione con sua nuora in attesa di un figlio (infatti dedica a lei il libro) e che mentre parlavano del nascituro lui ha avuto la netta sensazione che a conversare fossero in tre, che quel piccolo ancora nella pancia fosse lì, presente.
Pensare di far parlare qualcuno che non ha voce non è un’idea del tutto nuova in letteratura, ma l’attenzione che Mc Ewan mette nella scelta delle sensazioni e dei pensieri del suo nuovo personaggio è come sempre una meravigliosa prova di scrittura. Inserire il racconto del bambino a testa in giù nella pancia della mamma all’interno di un thriller è poi un tocco geniale.
Il protagonista dell’ultimo romanzo dello scrittore inglese non ha ancora un nome ma ha già una storia difficile da affrontare, una storia shakespeariana: due fratelli che si contendono l’amore della stessa donna, colei che lo contiene – sua madre, e un destino duro da accettare, fatto di delitti e di inevitabili castighi.
E’ interessante confrontare gli studi sulla vita nell’utero con l’uso letterario che ne fa quello che io considero uno dei più grandi scrittori contemporanei: il “non ancora nato” ha già una sua esperienza conoscitiva, ed è essenzialmente un’esperienza uditiva, poiché dalla sua posizione all’interno del corpo della madre non può vedere il mondo. Se l’è fatta ascoltando le notizie alla radio, gli audiolibri, le conversazioni della madre con il padre – poeta ispirato – e con lo zio – imprenditore senza scrupoli. Percepisce anche sentimenti e sensazioni della madre, che ama perché di lei certo non può fare a meno, ma, se pure a malincuore, la giudica e la capisce fino a un certo punto. Per esempio non riesce proprio a capacitarsi del perché tradisca suo padre, che la adora e accetta tutte le sue pretese, con quello zio così poco delicato. Il bambino non ancora tale si è già fatta un’idea del mondo e non gli sembra una situazione ottimale quella in cui vedrà a breve la luce.
Mc Ewan scandaglia, come sempre, con chirurgica lucidità la vita dei sentimenti e dei fatti, e l’innocenza del feto, che è è anche impotenza, gli permette di raccontarci la realtà senza doversene fare carico, osservandola da spettatore, “ascoltandola” anzi, come fa il protagonista dal suo guscio. Un guscio amletico, come Mc Ewan vuole farci capire con l’epigrafe posta all’inizio del romanzo: “Oddio, potrei anche essere confinato in un guscio di noce e sentirmi il re di uno spazio infinito – se non fosse per la compagnia dei brutti sogni”.
Una prova magistrale anche quest’ultimo lavoro, che conferma Mc Ewan il grande scrittore che è.

Nel guscio
di Ian Mc Ewan
traduzione di Susanna Basso
Einaudi editore