Fertili cambiamenti

Continuiamo a parlare di donne, e di esternazioni eufemisticamente definibili “poco felici”.
Una tra le tante recenti è quella di Manlio Paganella, assessore alla cultura di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, che ha detto: «O si nasce donne fertili o si nasce donne inutili». L’ha detto in reazione alle critiche che gli erano state rivolte da colleghe del PD stigmatizzando la sua partecipazione alla presentazione di un libro revisionista sulla Resistenza, e l’ha detto dopo aver detto: “O si nasce uomini o si nasce eunuchi”, ma tutto questo non alleggerisce la pesantezza della sua affermazione.
Con quelle frasi che definirei soprattutto volgarmente banali, ha messo in opera uno slittamento di senso e di significato, con l’obiettivo chiaro di colpire donne (e uomini) – in ogni caso i suoi avversari politici -, usando il frequente schema dei ruoli di genere. Frequente, apparentemente superato, ma talmente comune che non ci si fa più caso.
Non fermiamoci al fatto in sé, o al suo antefatto, ma riflettiamo sul pensiero che c’è dietro l’esternazione, sottilmente intrecciato alle vite di tutti, inculcato negli uomini e nelle donne da secoli, di generazione in generazione.
La divisione dei ruoli impone agli uomini – purché siano maschi e non “eunuchi” – di lavorare, alle donne di fare e crescere figli. Le donne senza figli sarebbero quindi senza uno scopo nella vita, “inutili” secondo il pensiero di Paganella, così come gli uomini disoccupati. Non solo, se un uomo è disoccupato, nella maggior parte dei casi si giustifica la sua condizione accollando la responsabilità alla società, se una donna è senza figli, le si fa una colpa. Un tempo si diceva che era stata incapace di trovarsi marito, oggi con leggerezza si sollecitano quarantenni single a fare figli con l’inseminazione artificiale. Scelta legittima, se dettata da qualcos’altro che non sia un arcaico imperativo sociale.

Il punto è, spingendoci un po’ oltre, che una donna senza figli, nel cripto-pensiero, è un soggetto che va tenuto d’occhio, una ribelle, un’anarchica, perché non solo dice no a una legge degli uomini, ma rifiuta di soggiacere a una legge di natura.
L’obbligo alla maternità è un altro di quei temi che andrebbero studiati con attenzione – c’è chi lo fa da anni (vedi https://www.lunadigas.com/) attraverso una rete interessante di studi e indagini – ne abbiamo parlato anche su questo blog in data 17 aprile 2018.

L’8 marzo scorso ho partecipato ad un incontro di donne di varie età, e tra le altre cose si è detto: “Dietro gli uomini infantili ci sono le madri italiane”. Altro luogo comune interessante da analizzare, perché si discute da sempre del ruolo pernicioso delle mamme italiane sui maschi, cui non sarebbe permesso di crescere in maniera autonoma e sana e di confrontarsi poi con le donne.
Si aprono vari fronti di pensiero su questo concetto, ma qui m’interessa riportare le parole della psicoanalista milanese Marina Valcarenghi che, ne “L’aggressività femminile”, chiarisce le motivazioni dell’attaccamento delle madri ai figli maschi: “…Smetteranno di nuocere quando potranno esistere in prima persona. (…) E gli uomini, da parte loro, dovranno imparare ad amare prima o poi donne che non vivranno in funzione dei loro bisogni, spirituali o materiali che siano”.
Mi sembra chiarissimo l’approccio: smettiamo di pensare alle donne come cittadine di seconda classe e si risolveranno anche i problemi degli uomini e delle relazioni.
Tanto lavoro da fare, a partire da oggi, da subito, lavoro in sinergia tra donne e con gli uomini.
Solo così si potranno sciogliere certi nodi atavici, che ci costringono tutti nei nostri ruoli chiusi e asfittici.