Pizzicore

PIZZICORE

La testa le pizzicava, come quando alle elementari aveva preso i pidocchi da Mariella. Le era venuto da sorridere, ora, seduta su quel letto duro, a ricordarsi i pidocchi.

Non mi conviene ridere – si era rimproverata con un filo di voce – .

Aveva carezzato d’istinto il suo costume da bagno rosso, indossato poco prima, all’arrivo in quell’hotel da quattro soldi, nella stanza stretta e inospitale. La moquette era di un marrone sbiadito, consumata da scarpe e valigie, c’era una sola finestra piena di spifferi, la tenda grigia di sporcizia. Aveva posato la tracolla sulla poltroncina a fiori. Sullo schienale un centrino all’uncinetto, bianco candido, un contrasto terribile coi colori stinti di tutta la camera.

Devo pretendere – pensava – Appena torno mi dovranno spiegazioni –

Se vuole usare la piscina, sono cinquemila lire in piu’ – le aveva detto l’uomo alla reception senza essere interpellato, lei aveva annuito. Si muoveva a memoria, annoiata dalle menzogne e dal corpo che oggi sentiva ingombrante. Quello la guardava fissa, imbarazzato dal vestito da sposa mezzo accartocciato da ore di guida, colpito dalla sua magrezza, come se dovesse trovare lui qualcosa da dire per tamponare quel momento sconveniente, trovare la storia adatta a una poveretta forse mollata sull’altare.

Cinquemila lire per bagnare i piedi in una pozza – avrebbe voluto dirgli – E non mi fissare, idiota – ma l’umidita’ e il calore eccessivo le impedivano di respirare in modo regolare. Aveva semplicemente alzato un sopracciglio in modo superbo per fargli capire di portare su le borse e smetterla d’impicciarsi, che lei stava bene davvero, niente sguardi pietosi. I bagagli erano zeppi, un viaggio di nozze dura sempre almeno due settimane.

Tempo di concepire un bambino – aveva pensato con rimpianto, il giorno in cui Enzo lo stava organizzando. Aveva programmato ogni dettaglio, euforico come un ragazzetto. Enzo.

La signora e il signor Soriano, senti come suona, Gabriella, suona come la perfezione – ripeteva contento. Non si curava del silenzio che seguiva, puro com’era. Lei non rispondeva, gioiva nel vederlo felice e non lo avrebbe contraddetto, tantomeno sul viaggio di nozze. Il sesso con lui la catturava talmente. Stentava a credere che un uomo semplice potesse comportarsi come un leone, a letto. Credeva che una moglie per bene dovesse essere disponibile, e tentava di comportarsi al meglio, finche’ poteva. Lei non avrebbe conosciuto l’essere per bene. Stavolta le era piaciuto illudersi, immaginare per qualche tempo un’esistenza serena come quella di molti, una casa, sempre la stessa, giornate noiose a letto con la febbre. Si era infiltrata dai Soriano per sedurre Edoardo e prendergli la valigetta. “Edoardo Soriano, ecco la foto. La valigetta e’ nera, piu’ o meno come questa” gliene avevano mostrata una simile, e poi un’altra foto, di tutti i parenti. “E’ tutto scritto qui, leggi, ricorda, procedi. E poi distruggi. Occhi aperti” le avevano raccomandato. Due parole che detestava. Le dovevano bastare, al solito. Niente legami, sentimenti, sviste. Ubbidiva. Ce l’aveva sempre fatta. Questa volta, invece, aveva voluto sedurre Enzo, il cugino di Edoardo, prima di seguire gli ordini. Enzo l’attirava parecchio e voleva portarselo a letto. Un capriccio femminile. Aveva bisogno di svago, ormai conosceva il lavoro tanto da permettersi un piccolo cambiamento senza doverli avvertire in anticipo. Avrebbe tardato di qualche giorno, nient’altro. Il vestito da sposa l’aveva buttato nel bagno senza finestra, poco dopo essere entrata nella stanza. Li’ per terra somigliava ad un ammasso indefinito di immondizia lasciata a marcire. Non ci voleva entrare piu’ nel bagno, a guardare il cadavere di una vita come tutte. Era squallido anche quello, poi. Mattonelle azzurro chiaro con solchi neri di zozzeria, il water stretto stretto e un lavandino strisciato di calcare, un segno simile a una riga di sale. La vasca non l’aveva guardata, per fortuna era nascosta da una tendina da doccia di plastica, tirata allo stremo. – – Vado in piscina, alla toilette. Ogni volta che serve – aveva pensato, fiduciosa. Finche’ il vestito fosse sparito. Ci avrebbe pensato Edoardo. Aveva promesso. Si era sfiorata di nuovo i capelli – Sara’ la lacca, a pizzicare tanto. Oppure l’afa – le era venuto in mente mentre sfilava le troppe mollette che tenevano ferma l’acconciatura e le lasciava cadere sul letto alla rinfusa, per non recuperarle. I capelli biondi scendevano piano sulle spalle umide di sudore, aveva scosso la testa per sentirli muovere sulla schiena scoperta. Si era alzata, aveva sollevato la sacca piu’ piccola poggiata per terra vicino a quella stracolma, per prendere le ciabatte per la piscina. Le aveva trovate subito, nell’angolino a destra.

Scusi, per la piscina? – era scesa, coperta dall’accappatoio rosso come il costume, comprato nuovo per il viaggio.

Alla fine del salone, dopo la reception a sinistra, signora – l’aveva guardata a lungo, di nuovo, per ritrovare la sposa di poco fa, ora mezza nuda, e inventarsi una storia che potesse mitigare la sua curiosita’. In pochi istanti, rapito da quella pelle bianca, l’aveva immaginata a braccia aperte, le gambe lunghe avvinghiate alla schiena, il seno scoperto, per lui. Gli occhi verdi fissi a guardarlo, stremati da ore di passione.

Signorina – aveva risposto lei voltandosi di scatto, riportandolo alla desolazione della reception. Poi aveva riso, forte, mandando indietro i capelli biondi, come una diva.

Signorina, giusto – aveva risposto lui, intimidito.

Lo credevo davvero, sa – la voce di Edoardo rimbombava nel piccolo patio con qualche sdraia e tavolinetti sparsi senza criterio. Perfettamente fasciato dal vestito da testimone, impassibile nel caldo di giugno, la valigetta nera posata per terra, vicino alle scarpe lucide da smoking. Una donna formosa, abbronzata, annuiva divertita. Un drink in mano. Anche lui ne aveva uno. Gabriella aveva fatto un passo indietro, e si era poggiata a una colonna pochi metri piu’ in la’. Il terzo incomodo non era previsto. E poi Edoardo era arrivato in anticipo.

Doveva riflettere.

Per un istante, aveva ricordato le dita grosse di Enzo sulla pelle, ieri pomeriggio – L’ultima volta, poi sarai mia moglie – le ripeteva nell’orecchio, un soffio delicato che l’aveva eccitata facendole calciare via le lenzuola – Gabriella Soriano – le diceva, intanto che spingeva piano, poi forte, e lei cedeva a suoi colpi, sudata, e godeva, la mente lontana dalla strada che le toccava seguire. Edoardo, presuntuoso e volgare, la stomacava. Con lui chiudeva gli occhi quasi a strizzarli, in bagno, in macchina, o dove capitava di doverselo fare di nascosto, e immaginava Enzo.

Pochi giorni e avremo tutto, Gabri – le diceva Edo mentre la possedeva con la grazia di un cane frettoloso, lei con le gambe strette. Dopo non vedeva l’ora di lavarsi. E di fregarlo in fretta. Sulla sdraio Edoardo continuava il suo gioco con la bella mora, credendosi furbo e al riparo da sguardi. Un omino misero, simile a tanti che aveva incontrato. A guardarlo, Gabriella aveva avvertito il bisogno di bere, per lavar via lo squallore e tirarsi su in vista delle serata. Col bicchiere in mano, aveva attraversato il patio e si era andata a sedere di fronte, su una chaise longue coi cuscini di cotone bianco. Si era chiesta da dove fosse spuntata, in quel tugurio, unica tra sdraie di plastica. Un tocco inaspettato di raffinatezza. Certamente un errore. Edoardo aveva tirato su la testa, euforico.

Gabriella. Ti stavo aspettando – aveva detto ad altissima voce senza perdersi d’animo. Fortunatamente a quell’ora erano soli. Lei, lui e la bella abbronzata.– Questa e’…- si era girato verso la donna che aveva mimato un nome – Denise – Denise, Gabriella. Vieni a sederti qui con noi – le aveva chiesto prepotente – Cosa fai laggiu’ – . Lei aveva alzato il bicchiere, in quel posto faceva schifo anche il Martini, e senza rispondere aveva sorriso. Aveva ingoiato il liquido d’un fiato, si era alzata ed era entrata alla toilette, camminando piano, quasi immobile.