Un’inquadratura imperfetta – di Simona Fasulo Pieri

Ogni giorno ci raccontiamo tante cose. Da quando sono stati inaugurati i social, ce ne raccontiamo tante di più: apriamo, spalanchiamo i nostri cuori e confessiamo o ci scagliamo contro perfetti sconosciuti o amici fraterni per il puro gusto di esserci, di dire la nostra, di avere, finalmente, ascolto, v i s i b i l i t à.
Tra le tante, tantissime, troppe cose che ci piace raccontarci, e che dietro l’affermazione di un’idea, di un pensiero nascondono troppo spesso una grande assenza di riflessione, ce n’è una che mi ha fatto pensare.
C’è stata una tragedia terribile: una torre piena di esseri umani ha preso fuoco, gli abitanti hanno cercato di scappare, hanno gridato, si sono buttati nel vuoto, hanno legato lenzuola per cercare di calarsi dalle finestre, si sono travolti reciprocamente nella disperata corsa per le scale, facendo i gradini a quattro a quattro nel fumo e nel buio soffocanti.
Una immane tragedia dovuta a un errore umano, ad una stupida leggerezza forse, una tragedia annunciata da una serie di denunce pregresse, quindi tanto più imperdonabile.
In quella torre c’era anche una giovane coppia italiana. Due ragazzi che avrebbero potuto essere miei figli. Li piango con grande dolore. Due ragazzi a quanto pare dolci, affettuosi, innamorati, studiosi, bravi, che hanno telefonato alle famiglie e mandato messaggi agli amici più cari per salutare quando hanno capito che non sarebbero sopravvissuti. Un destino orribile, mostruoso: guardare in faccia la morte e non poter fare altro che salutare, cercando di arrivare dall’altra parte – se ce n’è una – pacificati. Una lezione grandissima di dignità, di amore verso il prossimo, di delicatezza.Una lezione di vita.
Noi conosciamo questa storia e piangiamo i nostri connazionali, e però sentiamo anche l’irrefrenabile bisogno di cercare il colpevole anche qui da noi. E il colpevole è il malfunzionamento di una nazione che manda all’estero i suoi migliori perché qui non c’è lavoro (tutto vero), che quei ragazzi non avrebbero scelto di partire se avessero avuto un futuro professionale nel nostro Paese (tutto vero), che tanti dei nostri giovani sono costretti ad andarsene per questo (tutto vero). Ma non è adesso il momento di parlare della politica che non sa fare il suo mestiere, di un popolo che non sa capire dove sta andando, di un mondo che ha bisogno di un’idea nuova per ripartire in un momento storico piuttosto complicato e forse addirittura incomprensibile, dove pensare al futuro con ottimismo sembra impossibile. Perché quei due poveri ragazzi non sono morti per questo. Avrebbero potuto essere lì in vacanza, come tanti altri nostri connazionali vittime di incidenti, di errori fatali, di malattia, in paesi diversi dal loro. Io non credo che ci sia bisogno di mischiare le carte in tavola. C’è già abbastanza dolore nel constatare la fine orribile di due giovani pieni di speranze. E c’è già abbastanza da fare nella ricerca dei colpevoli superficiali che non hanno saputo prevedere e impedire una tragedia come quella di Londra.
E invece di continuare a mistificare, a cercare il colpevole morale che ci ha portato al disastro economico, rendiamo il paese più concreto, partecipando, facendoci venire un’idea sana, anche sul futuro delle nostre generazioni.
Anche per questo c’è bisogno di fare chiarezza dentro di noi in primis, e di mettere da parte i rancori sterili, e poi potremo anche liberamente soffrire degli errori o di accadimenti luttuosi che si susseguono nel mondo. Non sarà obbligatorio partecipare i nostri pensieri/emozioni/sentimenti all’orbe terracqueo con due frasi o un lungo articolo su facebook, ma non sarà neppure vietato.
Però, prima inquadriamo i fatti per quello che sono, “stiamo sul pezzo”, come si dice. Un’operazione che generalmente restituisce chiarezza e può traghettare verso consapevolezze e soluzioni più luminose.