Blade Runner 2049

Non c’e molto da dire. Il film è pieno di belle immagini, qualche invenzione come la scena d’amore e i ritorni al primo film a corollario della storia. Ma poi purtroppo non ci si puo esimere dal paragonare il Blade Runner di Ridley Scott e questo di Denis Villeneuve.
Film povero quest’ultimo di idee purtroppo, dove la storia è banale e penalizzata dalla mancanza di tutta la poesia del primo. Dove i bastioni di Orione sono si stavolta davvero inimmaginabili per il povero Villeneuve. Non troviamo soprattutto la logica costruttiva di Scott nell’usare i tempi dilatati, che servivano a seconda delle scene a focalizzare il contenuto per poi improvvisamente accelerare. Villeneuve invece, usa il tempo scenico dilatato per posizionare immagini patinate nel nostro cervello come se potesse cosi farci dimenticare che non sa dove ci sta portando.
Probabilmente saremo invecchiati o forse siamo prevenuti nel giudizio che i sequel ( a parte quelli del Padrino dove il secondo film della serie di tre è addirittura superiore al primo ) farebbero bene a rimanere nel cassetto più scomodo, tanto scomodo da esser impossibile tirarli fuori. Il povero Gosling si muove per tre quarti del film, alla ricerca di un figlio di replicanti, il miracolo a cui è impossibile credere, che potrebbe generare una rivoluzione degli ultimi ( i replicanti ) contro il genere umano. Un equivoco lo porterà a credere di essere lui il redentore e andrà quindi per cercare risposte definitive alla ricerca di suo padre: un Harrison Ford monocorde. Il film è tutto qui. Un finale prevedibile ci conduce quindi ai titoli di coda. A parziale discolpa di Villeneuve si puo dire che il film di Scott dell’82 fu tratto da un romanzo minore di un grande scrittore di fantascienza Philip K. Dick: Do androids dreams of electric sheep?. I temi sono quelli tipici di Dick: repressione  poliziesca, cosa è umano e cosa non lo è, l’uso di droghe e gli scenari relativi, anche i rapporti con le donne. Su questo si basa l’idea di Blade Runner di Scott. Al regista va il merito di aver saputo tradurle in cinema.