Postfazione a La Traviata a modo mio – di Alessandra Sistopaoli

Ho voluto raccontare La Traviata per incuriosire anche chi non conosce l’opera lirica. Molti si fermeranno alla sola trama, in cui comunque si ravvisa la denuncia del perbenismo ipocrita della nascente classe borghese. Alcuni forse saranno incuriositi dal libretto e vorranno ascoltare i brani inseriti nelle puntate. Altri, che già  la conoscono, non si stancheranno di riascoltare un’opera sublime. Non ho voluto “spiegare” la musica, poiché molte analisi ne sono state fatte, da musicisti ben più illustri di me.

Traviata è una delle opere liriche più cantabili in assoluto. Non a caso è stata inserita nel film Pretty woman, quasi ad enfatizzare il riscatto morale della donna che esercita il più antico mestiere del mondo.

Un’opera del tutto moderna, per i suoi risvolti politici e sociali, per la descrizione dei personaggi, per la denuncia del perbenismo e della falsità che permeava la “moralità” dell’epoca. Tanto moderna e provocatoria, da suscitare furore e sacro sdegno nel pubblico, che la fischiò solennemente alla prima, andata in scena al teatro La Fenice di Venezia nel 1853. Salvo poi raggiungere l’apice del successo l’anno seguente, con altri interpreti e qualche modifica.

Le arie sono bellissime, tutte. La melodia verdiana passa da un registro vivace e frivolo, nel primo atto, al commovente sentimentalismo di una donna innamorata ed al dramma del suo sacrificio, nel secondo, alla struggente passionalità  della fine ineluttabile, nel terzo. Questo è preceduto da un preludio simile a quello che introduce il primo atto, ma molto più accorato, mesto, con i violini che, sommessamente, imitano i singhiozzi di un pianto rassegnato.

Impossibile non schierarsi dalla parte di Violetta e non odiare il cieco conformismo di Germont, nonostante la trama lo riscatti nel finale. Nel libretto, scritto da Francesco Maria Piave e tratto dall’opera teatrale La Signora delle Camelie di Alexandre Dumas, emergono vividi i tratti caratteriali dei vari personaggi: la generosità  di Violetta, l’amore un po’ adolescenziale di Alfredo, la superficialità  della sua ira (non si ferma a chiedersi il perché del repentino cambiamento di Violetta né della presenza “casuale” del padre nei diversi momenti del dramma), l’ostinato moralismo di Germont, che non esita a far soffrire i due amanti in nome del fidanzamento a rischio della figlia, “sì bella e pura”.

Anche i personaggi minori sono ben delineati: Annina, la serva fedele, che segue Violetta in tutte le sue peripezie senza porsi troppe domande e che pietosamente l’accompagna fino all’epilogo, il Dottor Grenvil, che conosciamo sin dal primo atto, sia come amico gaudente, sia come medico generoso, e poi gli altri, Flora, Gastone, il Barone Douphol che, come tante conoscenze superficiali, nel momento del bisogno si eclissano.

Nulla sembra essere cambiato, da allora ad oggi. Solo la musica, in Traviata, rimane irripetibile.