Lo sblocca cantieri ed il subappalto e risposta del governo alla procedura di infrazione disposta dalla commissione europea

A Seguito dell’entrata in vigore del Decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” cosiddetto “Sblocca cantieri” sono state modificate le norme relative al subappalto contenute nell’articolo 105 del Codice dei contratti pubblici.

Le modifiche introdotte hanno cercato di dare risposte alla lettera di costituzione in mora della Commissione europea 24/01/2019 – Infrazione n.2018/2273 avente ad oggetto “Mancata conformità del quadro giuridico italiano alle direttive del 2014 in materia di contratti pubblici” che specificatamente riguarda la “Violazione di norme riguardanti il subappalto e l’affidamento sulle capacità di altri soggetti” riferendosi, puntualmente:

  • al “Dìvieto di subappaltare più del 30% di un contratto pubblico”; all’Obbligo di indicare la terna di subappaltatori proposti”;
  • al “Divieto per un subappaltatore di fare a sua volta ricorso ad un altro subappaltatore”;
  • al “Divieto per il soggetto sulle cui capacità l’operatore intende fare affidamento di affidarsi a sua volta alle capacità di un altro soggetto”;
  • al “Divieto per diversi offerenti in una determinata gara di fare affidamento sulle capacità dello stesso soggetto, per il soggetto sulle cui capacità un offerente intende fare affidamento di presentare un’offerta nella stessa gara e infine per l’offerente in una determinata gara di essere subappaltatore di un altro offerente nella stessa gara”;
  • al “Divieto per gli offerenti di avvalersi delle capacità di altri soggetti quando il contratto riguarda progetti che richiedono “opere complesse””.

Le modifiche introdotte non rispondono puntualmente a quanto evidenziato alla precedente lettera di costituzione in mora della Commissione europea; difatti le modifiche introdotte al comma 2 del più volte citato art. 105 stabiliscono che il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 50% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture; in pratica viene innalzata l’asticella dal 30% al 50% ; tuttavia tale modifica non sembrerebbe risponde compiutamente alla lettera d’infrazione ed infatti nella stessa è precisato che “La Commissione rileva che nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE non vi sono disposizioni che consentano un siffatto limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato. Al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto. Conformemente a tale approccio, l’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE consente alle

amministrazioni aggiudicatrici di limitare il diritto degli offerenti di ricorrere al subappalto, ma solo ove siffatta restrizione sia giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere” e non sembra che la percentuale del 50% modificata nel comma 2 dell’articolo 105 si riferisca a prestazioni di particolare natura).

Si ritiene , invece, che la modifica del comma 4 e l’abrogazione del comma 6 hanno risolto quanto evidenziato dalla Commissione europea nella nota di costituzione in mora, in quanto è stato eliminato, del tutto, l’obbligo di indicazione della terna dei subappaltatori, atteso che, in ogni caso, le verifiche sul possesso dei requisiti dei subappaltatori sono effettuate in occasione della richiesta di autorizzazione alla stazione appaltante da parte dell’appaltatore.

Infine, con le modifiche introdotte al comma 13 dell’articolo 105 vengono introdotte nuove norme per favorire il pagamento diretto dei subappaltatori.

Evidenziamo, per ultimo, che con il decreto-legge n. 32/2019 non sono state introdotte puntuali variazioni sull’articolato dell’articolo 105 idonee a sanare del tutto quanto evidenziato nella procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea….

Ricordiamo che il Governo è tenuto a trasmettere le sue osservazioni entro due mesi dal ricevimento della lettera di costituzione in mora.
Ai sensi dell’art. 258 del TFUE “La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell›Unione europea”.

Si conclude così la fase del cd. “precontenzioso” ed inizia il giudizio, il quale è diretto ad ottenere dalla Corte l’accertamento formale, mediante sentenza, dell’inosservanza da parte dello Stato di uno degli obblighi imposti dall’Unione.

Nella fase contenziosa Se la Corte di Giustizia accerta che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù del Trattato, questo è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta, ponendo fine all’infrazione.

Se la Commissione ritiene che lo Stato non si sia conformato alla sentenza della Corte, essa avvia una procedura ex art. 260 del Trattato. In questa fase ciò che viene contestato allo Stato è un inadempimento ulteriore e autonomo, consistente nella mancata adozione dei provvedimenti necessari all’esecuzione della sentenza che ha accertato la violazione del diritto dell’Unione (es. modifica, abrogazione o introduzione di una disposizione normativa; recepimento di una direttiva; mutamento di una prassi amministrativa).

Come negli ordinari procedimenti per inadempimento, la procedura ex art. 260 si articola in una fase precontenziosa e in una fase contenziosa.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1 dicembre 2009, la disciplina delle procedure d’infrazione ha subìto importanti modifiche. Nei casi di cattiva applicazione del diritto dell’Unione, una delle novità introdotte è rappresentata dalla maggiore rapidità del procedimento d’infrazione ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE rispetto a quanto disposto dal precedente art. 228, par. 2 e 3 del TCE. Infatti, se uno Stato membro non si conforma ad una sentenza d’inadempimento emessa ai sensi dell’art. 258 TFUE e non fornisce esaurienti giustificazioni in risposta alla “messa in mora”, la Commissione può deferirlo al giudizio della Corte di Giustizia e chiedere il pagamento di una sanzione senza dover intraprendere una nuova fase “precontenziosa”.

Le sanzioni consistono in una somma forfetaria e in una penalità di mora, adeguate alla gravità e alla persistenza dell’inadempimento. Le cifre indicate dalla Commissione per l’Italia ammontano a minimo 8.916.000 euro per la somma forfetaria e oscillano da 10.753,5 a 645.210 euro al giorno per la penalità di mora.

Nella sentenza del 12 luglio 2005 (causa C-304/02, Commissione c. Francia), la Corte di Giustizia ha chiarito che la somma forfetaria e la penalità di mora possono essere inflitte cumulativamente qualora la violazione del diritto dell’Unione sia particolarmente grave e persistente.

Una seconda importante modifica introdotta dal Trattato di Lisbona riguarda le sanzioni pecuniarie nei casi di mancato recepimento delle direttive europee. Nel caso in cui uno Stato membro abbia disatteso l’obbligo di comunicare alla Commissione le misure adottate al fine di recepire una direttiva, quest’ultima può chiedere alla Corte, nell’ambito dello stesso ricorso per inadempimento, di comminare il pagamento di una sanzione pecuniaria. In sostanza, con la nuova procedura di cui all’art. 260, par. 3 TFUE, la Commissione può richiedere alla Corte sia di accertare l’avvenuto inadempimento dell’obbligo, sia di condannare lo Stato inadempiente al pagamento della sanzione pecuniaria, senza dover attendere l’esaurimento di un’ulteriore fase precontenziosa.

Le decisioni relative all’apertura, all’aggravamento o alla chiusura di una procedura di infrazione sono adottate dal Collegio dei Commissari europei, in apposite sessioni che hanno luogo a cadenza mensile. Il Collegio dei Commissari adotta una decisione di archiviazione quando lo Stato membro si conforma ai rilievi della Commissione europea o quando quest’ultima si ritiene soddisfatta dalle osservazioni dello Stato in questione. Le archiviazioni intervengono solo in occasione delle riunioni mensile, mentre l’apertura di una

procedura d’infrazione può essere decisa anche in occasione di una qualunque altra riunione del Collegio. Ad esempio, le procedure per mancato recepimento di direttive sono aperte automaticamente in una delle prime riunioni successive alla scadenza del termine di trasposizione. Una volta aperta la fase contenziosa, l’adempimento da parte dello Stato membro potrà condurre ad una rinuncia agli atti del ricorso da parte della Commissione per venir meno dell’interesse ad agire.