Autobiografie di tre parole

Scrivere di sé. Raccontarsi. Si può fare in tanti modi.

Questo momento storico sarà forse ricordato come quello in cui l’umanità –  beninteso quella che ha avuto la fortuna di nascere in paesi in pace –  costretta a vivere in anonimi quartieri di città sconfinate, a condividere spazi angusti, è sempre più sola. Talmente sola che molti sentono la necessità di raccontare di sé. Non lo possono fare a voce alta perché la società impone chiacchiere insulse frequenti, ma mai la sincerità, non lo possono fare scrivendo missive dense di significati, perché la società ha eliminato le lettere, e spesso ha eliminato anche la sana pulsione di scriverle, riducendo i concetti a frasi smozzicate, a slogan, a segni grafici. E allora lo fanno scrivendo post in rete.

Più che quotidiana, a volte la frequenza dei post del racconto di sé arriva ad essere oraria e allora con puntuale solerzia i “contatti” possono leggere uno stralcio di autobiografia in pillole postata come didascalia ad un selfie con la descrizione più o meno dettagliata di impegni, ma anche di emozioni, di sentimenti, di pietanze consumate, di baci rubati o di scambi di improperi, di tutto quello che riempie una qualunque giornata di un individuo di oggi.

Scrivere di sé sembra diventato imprescindibile. Un atto di onanismo condiviso: leggi di me mentre io leggo di te, ma stiamo comunque separati, ognuno a tu per tu solo col suo desktop.

Le autobiografie vere, quelle classiche, sono comunque fonte inesauribile di scoperte che altrimenti non faremmo mai. Ce ne sono alcune bellissime: da Goldoni a Tolstoj tanti scrittori a un certo punto hanno sentito la necessità di raccontare la propria vita, la propria poetica, il proprio percorso letterario e esistenziale. E tanti lettori hanno il gusto di godersi quei racconti. Ancora. Ma la vita di oggi ci impone fretta e l’attenzione scema dopo poche righe, distolta da qualsiasi altra cosa appaia all’improvviso: una forma, una luce, un pensiero. Non siamo più abituati a riflettere, a fare azioni lunghe, a sostenere lunghe conversazioni, a vedere film lunghi, a leggere tomi importanti. Però scrivere di noi ci piace…

Perché non possiamo farlo? Certo quelle frasette spezzate contornate da cuoricini, faccette spiritose o piagnucolose, per le quali si sceglie anche lo sfondo colorato giusto, ci raccontano le mille vite che viviamo ogni giorno, da quando apriamo gli occhi “Buongiorno a tutti, piove, oggi dentista! 🙁“,  a quando andiamo a dormire: “Buonanotte! E che domani sia meglio di oggi 🙂“, il tutto ricco di punti esclamativi e anche, spesso, di commenti. A quel punto non si tratta più di mera autobiografia, seppur tascabile, ma di un vero e proprio compendio della nostra vita. Raccogliere quei post striminziti o più verbosi racconterà al mondo di noi cose che al mondo non interessa affatto sapere. Ma forse a noi farà bene rileggerli, per capire un po’ di più il fantasma del piccolo scrittore compulsivo che alberga in noi e si affaccia, screanzato o timido, nei nostri post quotidiani. E anche i commenti ci saranno utili per scoprire chi sono i nostri amici e se vale la pena averli come amici o no.

Sì, la scrittura, anche quella rapida, serve sempre a qualcosa. Persino i post di FB o di twitter. A volte bastano solo tre parole: “io esisto ancora”….. .