Girati in bianco e nero nell’epoca del colore

Se fossero stati girati diversamente, non avrebbero avuto lo stesso impatto. Da La maschera del demonio e 8½ in poi al più recente The Lighthouse: quando il bianco e nero diventa una scelta, è subito una meraviglia

Cold War

Non è solo il bianco e nero: tutto in Cold War è retrodatato all’epoca ritratta, le inquadrature, il 4:3, la composizione e l’afflato epico di un amore che costringe a passare al di là e poi al di qua della cortina di ferro. Follie che finiscono per decidere il destino di una coppia di amanti legata alla musica che li lega a sua volta. Obiettivamente questa storia, a colori, non avrebbe avuto lo stesso impatto.

Tetsuo

Qui il bianco e nero è una scelta di necessità. Nel 1989 solo così si poteva girare un film veramente a budget zero. I due colori, inoltre, aiutano Shinya Tsukamoto a fare un lavoro pieno di effetti poveri, che eccede nel sangue e trasforma la carne in metallo. Tutte pazzie da blockbuster, che invece sono rese tramite strumenti domestici. Una forza filmica così esuberante da essere inarrestabile e farsi beffa della scarsità di mezzi.

The Elephant man

David Lynch aveva esordito con un film in bianco e nero (Eraserhead). Poi, Mel Brooks gli propose il salto di qualità, qualcosa di molto più mainstream e hollywoodiano: la storia vera di un freak. Nelle sue mani diventa un lavoro commovente, delicatissimo e dolce, con un bianco e nero stupendo che ci parla di un’altra epoca del mondo e che divide tutti in pro o contro, personaggi bianchi e personaggi neri.

Frankenstein Junior

Alle volte Mel Brooks ha delle idee da bambino di 10 anni, e la sua abilità sta proprio nel trasformarle in qualcosa di geniale. Per fare la parodia di Frankenstein, ovviamente, gira in bianco e nero, come la versione di James Whale degli anni ’30. Solo così può riprendere i candelabri nelle scale a chiocciola, le notti di pioggia, i fulmini e le saette con il giusto grado di aderenza al genere, poco prima di mandare tutto in vacca con una battuta.

La maschera del demonio

Qui il bianco e nero è un’idea furba. Senza i colori Mario Bava può usare ancora più trucchi, giocare con le luci colorate per invecchiare e ringiovanire un personaggio, simulare meglio gli esterni, lavorare di fino e grossolanamente per arrivare all’obiettivo che si è sempre posto: fare tanto con poco.

Forse, la punta massima del bianco e nero di tutta la sua gloriosa storia. Sia ne La dolce vita che ancora di più in Federico Fellini crea un mondo splendente e lucido fatto di bianchi e neri netti e molto contrastati, una dimensione visiva che non ha niente a che vedere con lo storico bianco e nero (spesso molto grigio), e parla di stile, classe e modernità.

4. Schindler’s List

Alle volte una soluzione serve per una sola trovata scenica. Qui il bianco e nero trova la sua sublimazione nell’unico dettaglio colorato, il cappotto rosso che ci consente di seguire una bambina dal rastrellamento fino alla morte. E non è nemmeno una soluzione nuova, già Eisenstein la usava in La corazzata Potëmkin.

Rusty il selvaggio

In uno dei film più sensibili di Francis Ford Coppola si inserisce un bianco e nero da cinema indipendente d’altri tempi. Così, un racconto di provincia diventa più grande del piccolo mondo che lo contiene ed è proiettato in una dimensione fuori da ogni tempo. Oltre a questo, c’è poi un espediente di meta-cinema, quando i due fratelli, pesci combattenti del titolo originale, guardano tramite un vetro dei veri pesci combattenti e questi sono l’unico elemento colorato come saranno colorate nel finale anche le luci della macchina della polizia. “Quanto mi piacciono i colori”.

L’odio

Quando L’odio piomba nelle sale non è certo la prima volta che il bianco e nero è usato per raccontare la periferia, le parti dure della città e le storie di ingiustizie e marginalismi. È, però, questo film di Mathieu Kassovitz a imporre la soluzione per tutti quelli che verranno e lo imiteranno. Questo bianco e nero così netto e granuloso diventa lo standard del cinema metropolitano duro e arrabbiato.

Toro scatenato

Martin Scorsese fa un salto stilistico per niente scontato e lo fa sedendosi sulle spalle di Pier Paolo Pasolini. Prende il bianco e nero e lo trasforma in una soluzione stilistica che avvicina la storia alla mistica. La combinazione con il ralenti e con una fotografia estremamente sofistica proiettano le vicende grette, dure e violente di Jack LaMotta in una dimensione spirituale. Il bianco e nero come equivalente delle icone sacre.