
“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”
José Saramago “Cecità”
Ricordando José Saramago. Dieci anni fa moriva a Lanzarote, nelle isole Canarie, José Saramago (1922 – 2010), il primo scrittore di lingua portoghese a ricevere il premio Nobel per la letteratura (1998). Le sue ceneri sono sepolte all’ombra di un ulivo secolare, a Lisbona, di fronte a Casa dos Bicos, che ospita la Fondazione a lui intitolata: https://www.josesaramago.org/. “Cecità” (1995) è stato uno dei romanzi più letti (anche come audiolibro, pubblicato dalla Emons Edizioni con la voce dell’attore Sergio Rubini) e citati ai tempi del coronavirus insieme al “Decameron” di Boccaccio, ai “Promessi sposi” di Manzoni e alla “Peste” di Camus. Un libro che immagina come sarebbe il mondo se non vi fosse la luce nei nostri occhi e nei nostri cuori. Con la sua profetica distopia lo scrittore portoghese aveva previsto la fragilità della società frenetica e tecnologica del nostro tempo. L’incipit del romanzo, una dura denuncia del buio della ragione, con un catartico spiraglio di luce e di salvezza, ritrae la scena di un guidatore che, fermo al semaforo, all’improvviso si accorge di essere diventato cieco. L’uomo si reca dal medico che gli diagnostica una cecità dovuta ad una malattia sconosciuta, un “mal bianco” che avvolge la sua vittima in un candore luminoso simile ad un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato, è l’inizio di un’epidemia che colpisce progressivamente tutta la città, e l’intero paese.
Fonte: Mibact