Palazzo Odescalchi a Roma, restauri selvaggi e collezione dispersa. Il caso in Parlamento

Restauri selvaggi, identità storica cancellata, dispersione all’estero delle opere d’arte: è quanto avviene da anni, a Roma, a Palazzo Odescalchi, sede di una preziosa raccolta messa assieme a partire dal Seicento, e che ha perso però numerosi pezzi negli ultimi anni. Una spoliazione tanto importante da essere arrivata in Parlamento: a denunciarla è Vincenza Bruno Bossio, deputata del Partito Democratico.

Cosa è successo a Palazzo Odescalchi? Ci troviamo, intanto, in uno dei più preziosi edifici della Roma secentesca, in antico appartenuto ai Colonna e poi passato nel 1622 ai Ludovisi, che lo possedettero fino al 1657 e, proprio tra il 1622 e il 1623, lo fecero ristrutturare da uno dei più importanti architetti del tempo, Carlo Maderno. Nel 1661, l’edificio passò ai Chigi (tanto che è noto anche come Palazzo Chigi-Odescalchi), che attorno al 1665 chiamarono Gian Lorenzo Bernini a trasformarlo (la facciata odierna è a lui attribuibile). Gli Odescalchi lo acquistarono nel 1745, con il principe Baldassarre: sotto gli Odescalchi altri grandi architetti (Niccolò Salvi e Luigi Vanvitelli) lo ampliarono. Nel frattempo gli Odescalchi cominciarono a riempire il palazzo con le opere della loro collezione: spicca su tutte la celeberrima Conversione di san Paolo, opera del 1600-1601 circa di Caravaggio, arrivata agli Odescalchi per via ereditaria, una delle rare opere del Merisi ancora in mani private.

A ricostruire le vicende di Palazzo Odescalchi è stato, a metà luglio, un articolo del quotidiano Eco dai Palazzi, secondo cui la principessa Giulia Odescalchi avrebbe messo in vendita appartamenti all’interno di Palazzo Odescalchi a cifre irrisorie per un edificio del genere (si parla di 4.500 euro al metro quadrato, una cifra che corrisponde a circa un terzo del valore di mercato di palazzi di pari importanza, e che corrispondono invece a quanto a Roma viene richiesto per un appartamento in zona Eur-Tintoretto). La svendita degli appartamenti sarebbe inoltre andata di pari passo con la dispersione delle collezioni. Tra le opere che mancano all’appello, ad esempio, ci sono i 31 taccuini con i disegni di Michelangelo e Raffaello, appartenenti al nucleo più antico della collezione Odescalchi, acquistate dagli eredi di Cristina di Svezia. “Spariti nel nulla”, afferma l’Eco dai Palazzi, “dispersi in giro per il mondo, acquistati da qualche trafficante d’arte per impreziosire collezioni private”. Altri ancora sono finiti all’estero, altri sono riemersi di recente sul mercato.

E c’è poi il capitolo dei restauri: “stravolgimenti strutturali”, scrive l’Eco dai Palazzi, con corridoi che tagliano i soffitti a cassettoni dipinti e dorati annullando gli emblemi chigiani, le mura “sventrate per creare più comodi passaggi così come quelli perimetrali aperti per accogliere vasche da bagno ed idromassaggi”, appartamenti frazionati cancellando l’unità spaziale originaria. Sempre secondo l’Eco dai Palazzi, ci sarebbe da aggiungere il fatto che nel 1989, Giulia Odescalchi e i suoi fratelli, nella dichiarazione di successione, avrebbero riportato di aver ereditato solo sei dipinti minori, mentre invece nel Palazzo ci sarebbero state centinaia di opere. “E non occorre essere esperti per capire che già allora si ponevano le basi per la dipartita all’estero di tante opere d’arte”, chiosa la redazione del giornale romano.

La deputata Bruno Bossio, nella sua interrogazione, elenca diverse opere di grande importanza andate disperse: “1) dipinto del monogrammista «MO» del 1566 «Festival di corte in giardino di Villa italiana», venduto alla Trynity Fine Art, di Londra (29 Bruton Street); 2) La «Resurrezione» di Saturnino Gatti (1463-1518) olio e tempera su tavola, da una camera da letto, privato dall’ingombrante cornice dorata per renderlo più agevolmente espatriabile, era in vendita da Christie’s New York, asta n. 8338 il 12 gennaio 1996 «Important Old Master Paintings» lotto 40; 3) Marcantonio Franceschini (1648-1729) «scena campestre» («the most important and congenial by the artist» Dwight C. Miller 14 ag. 1988) disegnata da Fragonard (Londra, British Museum); 4) Gaudenzio Ferrari il «Raffaello delle Alpi» la «Sacra Famiglia» (unico quadro venduto a comparire nella denuncia di successione); 5) Vanvitelli «Vedute di Tivoli» e di Grottaferrata; 6) 31 taccuini di disegni della Regina Cristina di Svezia. Quello con 99 disegni autografi di Pietro da Cortona e Ciro Ferri è stato sequestrato alla Dogana di Fiumicino dalla Guardia di finanza a seguito di tentativo di esportazione clandestina. Nel 1997 si chiuse la vicenda del taccuino di Giulia Odescalchi «essendo largamente trascorsi i termini previsti dalla legge senza che nessuno avesse intrapreso azioni per far valere il diritto alla restituzione del bene” furono assegnati all’istituto per la Grafica». Altro taccuino Odescalchi con i paesaggi di Francesco Allegrini è emerso di recente sul mercato antiquario londinese. Degli altri 29 preziosi taccuini non se ne sa più nulla; stanno per essere dispersi anche i dipinti di Lucio Massari (1569-1633) «La Fede e Thamar» (n. 38 inv.) e «Susanna tra i vecchioni» (n. 36 inv.) (tra i più grandi pittori bolognesi con sue opere ai Musei Capitolini, Uffizi e Louvre); avendo già venduto a Londra e New York diverse opere, il sequestro preventivo dei dipinti Odescalchi scongiurerebbe anche questa circostanza”.

Per Bruno Bossio non ci sono dubbi: si tratta della scompaginazione di un insieme di altissimo profilo culturale e storico che ha inflitto un duro colpo alla cultura capitolina. La deputata chiede dunque al ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, di intervenire “a tutela del palazzo e delle importanti collezioni per scongiurare il danno irreversibile che si sta configurando sotto agli occhi di tutti da anni”. E si aggiunga anche che, qualora le accuse dovessero risultare fondate, ci sarà da domandarsi come è stato possibile che per tanti anni una collezione così importante venisse dispersa senza che nessuno abbia mosso un dito. Perché qui non si tratta, sottolinea l’Eco dai Palazzi, “di una vicenda privata di una nobile famiglia romana”, ma di affari pubblici “che richiederebbero un sequestro preventivo dei beni della famiglia Odescalchi e un intervento pubblico, nello specifico del Ministero dei Beni culturali”.