INTERVISTA al poeta EVARISTO SEGHETTA ANDREOLI

INTERVISTA a EVARISTO SEGHETTA ANDREOLI

 

Evaristo Seghetta Andreoli nasce a Montegabbione nel 1953. Fa parte dell’Associazione “Pianeta Poesia” di Firenze, dell’Associazione “Tagete” di Arezzo e di “Officina delle Scritture e dei Linguaggi” di Perugia. Collabora con le riviste letterarie Testimonianze, Euterpe e L’area di Broca. È stato ospite di varie rassegne letterarie tra cui “Modena Poesia Festival”. Ha pubblicato I semi del poeta (Polistampa, 2013), Morfologia del dolore (Interlinea, 2015), Inquietudine da imperfezione (Passigli, 2015), Paradigma di esse (Passigli, 2017); In tono minore (Passigli, 2020). Ha ricevuto diversi primi Premi, tra cui: “Mario Luzi”, “Firenze Fiorino d’oro”, “Certamen Apollinare”, “Città di Sassari”, “Cecco d’Ascoli” e altri. Molte le recensioni sulle sue opere più volte apparse su La lettura del “Corriere della Sera”.

 

1) Cos’è la poesia? Quale funzione ha nella tua vita?

Se sapessi rispondere al quesito di che cosa sia la poesia avrei risolto la questione irresolubile che si trascina da sempre. Di definizioni ne sono state date a iosa, ma tutte improntate a concetti relativi, impossibile dare una definizione assoluta. La poesia si sente, non si definisce, è qualcosa che è in noi e non possiamo individuarla, è come l’anima. Ovviamente il poeta è colui che riesce a interpretare questa esigenza, apparentemente soggettiva, ma che trova poi riscontro nell’oggettiva valenza del concetto, con l’accoglimento da parte dei lettori dei versi che contengono ciò che essi provano pur nella loro impossibilità a crearli.

A mio parere la poesia ha la stessa funzione di sempre, essa accompagna l’uomo come “ombra dell’anima” e l’ombra non può cambiare né si può cancellare se non si cancella o elimina il corpo solido che la proietta, in questo caso l’uomo. E’ proprio la sua funzione nata con il comparire della specie umana quella di essere compagna indefinibile, intangibile ma fondamentale nel procedere in questo nostro cammino che non si sa dove ci porti. L’ombra dell’uomo ovvero la poesia è fatta di parole e solo le parole riescono a darle una veste concreta e a tracciare la sua essenza. Proprio per essere connaturale all’animo umano la Poesia ha una funzione di memoria inconscia dell’umanità, ci ricorda chi siamo, nella nostra fragilità, nel dolore, nella gioia e nella speranza.

2) Gli artisti hanno dei maestri di riferimento, quali sono i tuoi?

 Non appartengo a scuole, gruppi, correnti, sono un cane sciolto o meglio un mezzadro della poesia e di mezzadria un po’ me ne intendo, essendo tutti i miei nonni agricoltori ed è noto, i geni si tramandano. Ho sempre inseguito i modelli che nelle arti sentivo profondamente vicini. Nella pittura: Piero, Caravaggio, Vermeer; nella musica Mozart, Verdi, Puccini; nella letteratura: Manzoni, Yourcenar, Flaubert, Man; nella poesia ne avrei un’ infinità, per seguire il metro adottato: Orazio, Dante e Petrarca tra gli antichi, Baudelaire, Montale e Cappello, sì proprio Pierluigi Cappello, tra i moderni, oltre alla Dickinson, alla Pozzi e alla Szymborska tra le poetesse. Non posso comunque non citare Leopardi, Pascoli, Elliot, Masters, Ungaretti, Neruda, Luzi, Fortini, Caproni, Kavafs, Sereni, Cardarelli, Pasolini, Raboni, Antonia Pozzi, Alda Merini, Mariangela Gualtieri, Magrelli, Buffoni ecc.

3) Ci vuoi parlare dell’ultimo libro che hai pubblicato?

L’ultimo mio libro è “In tono minore”  edito da Passigli  nell’ aprile 2020.  In esso ho raccolto i testi scritti nel triennio 2017/19. A differenza del primo mio libro del 2013 “ I semi del poeta”,  in cui raccolsi le poesie più rappresentative che avevo composto nella mia vita, ancora molto improntate a stilemi classicheggianti, gli altri miei tre libri oltre all’ultimo sopra citato, seguono un percorso di forma e di sostanza che possiamo definire sequenziale, senza quasi soluzione di continuità: la Natura, il Tempo, i quesiti filosofici di fondo, i rapporti umani e soprattutto il Ricordo.  Una poetica incentrata sul senso della finitezza e del mistero della nostra vita che si trascina in me da sempre e mi tormenta e in proposito riporterei  le parole del prefatore, il poeta Sauro Albisani, nella bandella di copertina: «… Ciò che trovo più toccante nella voce di Seghetta Andreoli è la capacità di rispettare quello che vorrei definire un foedus poetico, un atto col lettore ancora fondato, nonostante le distruzioni del Novecento, sulla superstite e tenace fiducia nella possibilità di riconoscere e condividere la “poeticità” dell’esperienza esistenziale…La misura classica che radica alla terra la poesia di Evaristo, avant le déluge, è la fiducia nella intelligibilità del mondo, alla cui oscurità il poeta oppone una luce occidua, vespertina eppure non crepuscolare, che illumina senza abbacinare, che accarezza con un suo tepore inesorabilmente declinante…»

4) Hai un nuovo lavoro in programma?

Prima e durante la Pandemia, sino ad oggi, ho scritto alcuni testi non tanto ispirati dall’atmosfera inusitata di paura e sconcerto causata dal morbo, quanto dalla necessità di rifugiarmi nella bellezza “latu sensu”, nell’intimità ancora integra nonostante le esperienze significative di questo lungo lasso di tempo, nel sogno e nella  umana curiosità che ci fa guardare alla vita come avventura. Non so se e quando pubblicherò questi testi anche perché è ancora molto vicina nel tempo l’ultima mia opera. Sicuramente ci lavorerò sopra  e come si dice in queste occasioni: staremo a vedere.

5) Per chiudere l’intervista, ci regali una poesia che per te ha un significato speciale?

 Onorato di questa intervista, vi faccio dono di un testo inedito che sostituisce quei fiori reali che vorrei regalarvi.

E ora custodirò i tumuli dei sentimenti sfioriti,

affetti finiti nell’involucro del buio,

nel groviglio inestricabile dei punti di domanda.

Le  api sparse sui cespugli

ci attorniavano in quel volo  immaginato

e pensare che il roseto di bianco e di rosso era fiorito

e splendeva anche il sole.