Natale

Natale non aveva la barba bianca, ne era grasso e con la pancia, ne aveva un vestito rosso con le guarnizioni bianche e non aveva le renne.
Natale era già anziano, ma non vecchio quando capii chi era.
Ed era piccolo e con i capelli neri come un quarantino, le basette leggermente brizzolate.
Natale aveva girato il mondo, quello degli emigranti: Germania, Argentina, Brasile.
Natale aveva quattro figli, una moglie ed un cane nero, Lea, che mi diceva essere un pastore tedesco; ma io non c’avevo mai creduto.
Natale amava la terra, la sentiva muoversi, cambiare, e l’aveva sempre accarezzata e curata.
Ma la terra non era mai la sua.
Natale la faceva vivere per “il padrone”, che in cambio faceva vivere lui e i propri cari.
Natale era nato in un piccolo paese, il cui nome non ha storia, e in cui Natale non c’ha vissuto molto.
Parlava poco, ma sapeva raccontare.
L’argentina, immensa e piena di “italiani”,
Buenos Aires.
Il tango che lui non ballava, ma guardava ballare, ubriacandosi di vino cattivo e della musica del bandoneon, nei giorni di festa e riposo dal duro lavoro.
Poi il Brasile. Quello però non gli era piaciuto.
No. Troppo caldo, troppo diverso da casa sua.
Casa sua. Natale non l’aveva una casa.
Per lui erano i campi ondulati e arati delle colline della sua terra.
Poi la Germania. Non ne parlava mai, ma so che il saper parlare tedesco gli servi per salvare un figlio più tardi.
La sua valigia era di cartone. Come quelle dei documentari in bianco e nero di quella televisione in cui il maestro Manzi insegnava a scrivere ad un’Italia che mangiava e beveva in modo diverso a distanza solo di cento chilometri. Manzi che fu il vero Garibaldi che inizio a unire l’Italia con una sola lingua.
Natale aveva un bastone intarsiato. Mi piaceva toccarne il pomo d’avorio liscio e consumato.
Era l’unico vezzo che si concedeva oltre il toscano e il borsalino sempre in testa.
Il toscano non lo fumava mai però tutto intero. Se lo gustava durante tutta la giornata spegnendolo prima di ricominciare il lavoro e riaccendendolo alla pausa successiva.
Usava per accenderlo quei fiammiferi nella scatola giallastra dei monopoli.
Ne aveva sparse in tutta casa, come se avesse paura di non averne a sufficienza. Un giorno però non lo trovai più al mattino ad aspettarmi, e rimasi senza quell’uomo che con la sua vita permise la mia.
Natale era nato il 25 dicembre.