Emilio e la Rossa

I giorni inutili dell’estate afosa di Emilio si accesero di una nuova brezza quel Martedì.

Era iniziato tutto la settimana prima. Emilio aveva notato sotto casa sua una vecchia Renault rossa, di quelle squadrate anni Novanta, piuttosto malmessa. Gli era saltata all’occhio perché ogni giorno era parcheggiata nei posti più astrusi, che variavano dal creativo all’illegale: passi carrabili, strisce pedonali, posti per i disabili e addirittura aiuole erano i luoghi dove la macchina si ritagliava il suo angolo di riposo.

Inoltre l’aveva notata perché non aveva assolutamente niente di meglio da fare che guardare qualche ora al giorno dai grandi vetri spessi della sua camera da letto. Quelle finestre lo riportavano alla realtà quando, dopo aver passato tante ore perso in quelle del mondo virtuale, gli occhi gli iniziavano a bruciare come dopo un bagno in piscina. Tuttavia l’aveva vista con quella parte del cervello semicosciente con cui notiamo che ci è caduto qualcosa, che abbiamo lasciato la luce accesa in un’altra stanza, con quella voce che ci dice di chiudere la porta di casa e poi ci chiede ‘l’hai chiusa la porta di casa?’, quindi si stupì molto quando si trovò a fissare la Renault proprio nel momento in cui una rossa spettinata scese dalla rossa malmessa.

Emilio aprì la finestra per guardare meglio la padrona di quegli indomiti ricci color mandarino, osservando divertito i suoi movimenti impacciati mentre rientrava in macchina e si arrabattava per raggruppare fogli e cartelline sparsi per abitacolo disordinato, la vide addirittura prendere quello che sembrava essere deodorante – o forse era un profumo? – da sotto uno dei sedili posteriori. Cercò di seguirne i passi svelti negli stivali neri, ‘era una sua vicina?’ Ma purtroppo la sua folta chioma tenuta insieme dagli occhiali da sole spariva dietro il palazzo di fronte  nel punto in cui la strada si biforcava.

In quella zona, come in quasi tutte le altre della città, era molto difficile parcheggiare. L’abuso edilizio a vari livelli, la mancanza di un piano urbanistico serio ed unitario e soprattutto le lacune incredibili dei trasporti pubblici, avevano creato una giungla urbana in cui ognuno era sia preda che predatore. Perciò il fatto che la Rossa avesse parcheggiato la sua auto in quel bivio nell’ultima settimana non era necessariamente garanzia che abitasse in una di quelle due ampie vie alberate, anzi era probabile che vivesse in qualche vecchio edificio del nugolo di stradine che si diramava alle spalle dell’incrocio.

Se avesse potuto sarebbe sceso per guardarla negli occhi, senza dirle nulla. Fin da piccolo infatti Emilio aveva la pretesa di capire gli altri solamente incontrando il loro sguardo, gli bastavano pochi istanti. Era ovviamente una credenza errata che l’aveva spesso portato a circondarsi di persone non sempre raccomandabili, perdendo l’intuito nell’intensità dei loro occhi. Purtroppo un incidente con la moto l’aveva lasciato momentaneamente invalido, doppio chiodo al ginocchio, e con la triste sedia a rotelle dove passava le giornate non poteva scendere i settantadue gradini che lo separavano dal portone. Era confinato.

La nonna, un’ottantenne in forma stile Jane Fonda, lo aiutava come poteva portandogli riviste – che oscillavano tra quelle di gossip spinto da parrucchiere e i National Geographic gialli satinati che costavano più di un’enciclopedia – e cibo di vario genere infilato in barattoli di vetro – meglio della plastica, sosteneva giustamente nonna Gilda – ma era l’unica persona che Emilio vedeva da quando era stato operato e il contatto umano iniziava a mancargli.

Alla seconda settimana di reclusione aveva vinto l’imbarazzo e aveva scandagliato i suoi social alla ricerca di qualche amico, vecchio compagno di scuola, amico di amici, o qualche cristo insomma che venisse a trovarlo, ma niente.. pieno Agosto: chi era scappato dall’afa per la casa al mare a pochi km dalla città, chi era andato a cercare un po’ di fresco in Scandinavia, chi vampiro lavorava di notte e dormiva di giorno e chi, incazzato nero, andava ogni giorno in ufficio tingendo di sudore camicie e giacche e che una volta a casa non vedeva l’ora di accendere il condizionatore e farsi una doccia fredda, imbarcarsi nel traffico per raggiungere i propri amici invalidi non era proprio cosa. Si era quindi rassegnato ad una degenza solitaria.

 

Si era quindi preparato ad un altro sabato da passare sul divano a guardare l’ennesima puntata della diciottesima stagione di quella serie che gli avevano consigliato – che non era niente di che a dire il vero, ma ti prendeva, un po’ come i cereali Kellogs’ ai frutti rossi. Era già in mutande a sventolarsi con la rivista patinata della nonna, quando venne bruscamente riportato alla realtà dal citofono.

(Emilio e la Rossa parte II)

to be continued