Parlare, scrivere e… riscrivere (3)

Cancellare o modificare

Cancellare o modificare

Parlando ci si rivolge sul momento e direttamente a qualcuno disposto più o meno all’ascolto, mentre la scrittura si elabora in solitudine, senza interlocutori esterni, cercando però – quando sarà – di stabilire coi lettori motivati un rapporto possibilmente duraturo nel tempo.

Parlando si dicono le parole, scrivendo le si compongono. Non voglio peraltro sminuire il valore e l’importanza della comunicazione verbale, della capacità di tenere discorsi e di intrattenere gli astanti con una piacevole conversazione. Né intendo esaltare più del dovuto la scrittura, che può essere spesso anche sciatta e superficiale. Tuttavia, una chiacchierata spesso può “banalizzare” le parole, mentre la scrittura tende a ponderarle, fissandone il senso, dosando gli avverbi e gli aggettivi. Quello che si scrive può essere sistemato e corretto; anzi, scrivere implica soprattutto la riscrittura, durante la quale i pensieri originari – ancora abbozzati e senza un collegamento organico – si arricchiscono e si integrano, comparendo così sulla pagina secondo un ordine logico. Al contrario, il pensiero della conversazione va di getto, limita la possibilità di correzioni e di aggiunte, soprattutto per non irritare gli interlocutori.

Oggi, a metà strada tra il parlare e lo scrivere, ci sono i mezzi di comunicazione online, come i social network e i giornali digitali, che permettono di pubblicare e commentare in tempo reale notizie e articoli, trasferendo nello scritto le prerogative del parlato. Nella foga e nel desiderio di essere sempre tempestivi nei commenti, si scrive subito quello che passa per la mente. Anche se esiste sempre la possibilità di cancellare o modificare quanto è stato scritto poco prima, solo apparentemente si tratta di riscrittura: spesso le correzioni e le modifiche giungono quando la prima versione è stata già letta, forse persino copiata da qualcuno.

Ma riguardo alla “vera” scrittura, oggi correggere e riscrivere non è un problema, grazie ai software di elaborazione testi che, con un paio di clic, permettono di risistemare la scrittura, togliere, aggiungere e rielaborare senza lasciar traccia delle versioni precedenti. Fino a qualche decennio fa, senza nemmeno andare troppo indietro nel tempo (ero già all’Università…) la riscrittura era un po’ più complicata: nei casi più semplici ci si armava di “bianchetto” con cui coprire le frasi da eliminare e sui cui si poteva riscrivere, una volta asciugato. C’erano anche le gomme per cancellare a doppio uso, per matita e per inchiostro, che spesso finivano però per graffiare il foglio. Ma se bisognava riscrivere interi paragrafi, non restava che sbarrare completamente il testo, gettarlo nel cestino e riscrivere tutto daccapo.

Uno dei campioni della riscrittura del passato è stato proprio il nostro Marcel Proust, che inventò le paperolles, ingegnoso sistema di “ipertesto” antelitteram. Le paperolles erano fogli, strisce di carta che Proust incollava (o, meglio, faceva incollare dalla domestica Céleste Albaret) alle pagine, per aggiungere nuove parti alle varie stesure del suo romanzo, la già citata “Ricerca del tempo perduto”.

(3 – Continua)