H22,58 Lunedì 13 Febbraio 1645 Anno Domini

h 22,58, Lunedì 13 Febbraio 1645 Anno Domini.

Ah un dejavù, ricordo una amico, come si chiamava, sì, Antimonio. Nome strano, glielo aveva dato il padre perché in gioventù si era salvato da una intossicazione mortale da tale sostanza.

Lo ricordo bene Antimonio, non alto, largo, voluminoso, bulimico oralmente e fisicamente, lento, pigro, ma sorridente e sempre di buon umore.
Non bello ahimè, anzi sgraziato, tondo, ma buono di animo come una mollica di pane bianco.
Sempre innamorato silente di donne che neanche lo vedevano, ma lui ci costruiva castelli di sogni e incontri impossibili.

Mi chiede una sera: “ti prego accompagnami voglio fare una serenata alla mia amata”.
“Ma io non so suonare, e che poi ci mettiamo con la chitarra sotto un balcone? Dai !
Sorride imbarazzato, forse l’ho ferito con la risposta.
“No, non devi suonare o cantare, stai nell’ombra e mi devi solo suggerire a bassa voce le frasi che le devo dire se lei si affaccia.
Capito ? “.
“Capito. Ok” Imbarazzo totale, ma a un amico non si può dire di nò.

Andammo una sera, non tardi in una stradina solitaria e sparuta su un colle romano chiamato Aventino.
Come un suggeritore di teatro, recitai la serenata che mi vide voce sussurata con queste parole:

“Provo a raggomitolare il filo che ci unisce.
Giro la manovella del rocchetto e il filo velocissimo torna nella sua sede. All’inizio è asciutto, poi diventa bagnato, poi stenta ad avvolgersi, stride, poi si ferma.
Continuo a girare, nulla da fare, è bloccato. Non forzo si potrebbe spezzare e sarebbe un disastro irreparabile.
Che fare, sperare che dall’altro capo se ne accorgano?
Aspettare, forse è meglio lasciarlo andare di nuovo, dandogli tutto la lenza che serve per raggiungere il fondale.
Così faccio, ci riproverò un altra sera potrebbe andar meglio, ritrovando l’altra metà del cielo.
E infatti, il filo scappa via ondulato prima, vibrando ora teso, corre lontano, più o meno quello che avevo recuperato, poi diventa lucido, profondo, e lo vedi appena perchè uno spicchio di luna lo rischiara, e dai piccoli cerchi lenti e galleggianti che produce nell’acqua.
Quella tensione è assolutamente rassicurante, c’è qualcosa che nell’abisso pesa e lo tiene giù”.
Attendo, in trepida attesa, si dice, ma non accade nulla.
Tutto rimase immobile, il filo, il mare, la luna, i cerchi nell’acqua.
Solo la mia mente è in fermento febbrile, solo il mio respiro dimostra la mia ansia che monta e urla muta

“Amore, sono sere e notti che aspetto un tuo cenno che non arriva”.

E allora andrò, riproverò domani, mentre raccolgo i ferri del mestiere, che sono le mie esche, i miei ami di varia grandezza, la mia canna da pesca, il campanello in punta.

L’innamorato guarda la luna sempre. E’ alta ormai stanotte.
Così feci. E vorrei continuare a declamarle una poesia per lui, un verso in rima, una frase ispirata. Non riesco.
Sì, anche Anti cerca l’astro, e il viso di lei nascosto dalle persiane, sotto un cielo senza nuvole dove non si può nascondere né lei né la luna, e parlo e sussurro, una poesia spontanea, non d’amore, ma di mesta felicità alla grande madre delle nostre maree terrene……”

Anti, ripete con voce profonda le mie frasi, con voce pulita, potente, totalmente ispirata.

Ho finito, ora taccio. Poi più nulla. Segue l’attesa, e la persiana semi aperta, si chiude per sempre senza rumore.
Tristezza indolita, ramenga, e annodata ci afferra.
Scappiamo via come ladri scoperti.

Non è andata bene, anzi malissimo. Anti, è affranto, tristissimo, lo lascio solo.

Ma so il Farmaco Omeopatico che necessita.
Alte Diliizioni a cadenza settimanale in dosi crescenti di Antimonium Tartaricum .
Aggiungo un infuso di Iperico serale, null’altro.

Era l ‘Anno Domini 1645, un lunedì sera…..indimenticabile.

Dott Gaetano-Maria Miccichè
Medico Omeopata
Roma