Billie Holiday

Benvenuti nello spazio “Jazz in progress”. Cominciamo col tracciare un parallelo fra due grandi donne del jazz unite dalla bravura e dalla sorte comune.

Eleanora Fagan, meglio conosciuta come Billie Holiday, era solo una ragazzina quando si rese conto di avere un talento. Erano gli anni ’30, e ad Harlem (quartiere nero di New York) le possibilità che quella piccola afro-americana riuscisse a spiccare il volo erano più che scarse. Ma la sua lotta fu intensa, e in un contesto dominato da povertà, abusi e schiavitù la musica diventò l’unico mezzo necessario per continuare a vivere. Così nacque il Blues e poi il Jazz, così nacque Billie, che non smise mai di cantare e di mettersi in gioco per farsi ascoltare dal mondo intero.
Ma una zavorra di fame e degrado non è essenziale per precipitare a fondo, ed Amy Winehouse ne è la prova. Il genere è lo stesso, il sound è innovativo. Caparbia e talentuosa Amy, una voce piena, emozionante. Un’artista dal taglio autentico, che raccontava di sè, delle sue gioie, dei suoi fallimenti, dei piccoli mostri che lentamente le imprigionavano la mente, in modo così sincero da apparire disarmante. Ma stiamo comunque parlando di una ragazza nata nel 1983 in una famiglia della buona borghesia ebraica londinese.
Perchè, allora, paragonarla alla grande Lady Day? La donna che cantava di quegli Strange Fruit che spesso aveva visto penzolare dagli alberi, e che non erano altro che i cadaveri dei neri linciati e appesi. Perchè paragonarla alla donna che, nel graffio della sua voce, portava le ferite aperte di un vissuto tragico? Ma per quanto tu possa tentare di fuggire alla morsa delle tue paure, la vita spesso te le ripropone crudele in svariate forme, e forse il potere è una di queste. Una benedizione maledetta che, se sei abbastanza forte, ti innalza e ti rende libero, se invece sei debole ti domina e ti uccide, gettandoti indifeso in una fossa di leoni.
Così due donne magiche, due poetesse che avrebbero potuto volare libere, si sono lasciate sovrastare fino a morire di alcol o di droga.
A noi resta la loro passione, che si percepisce perfettamente dalla loro voce, forte, graffiante, immortale.