Portami il girasole impazzito di luce

PORTAMI IL GIRASOLE IMPAZZITO DI LUCE
– Eugenio e Irma, un amore di attese –

Il poeta Eugenio Montale e l’italianista ebrea americana Irma Brandeis si incontrano per la prima volta nel luglio del 1933 al Gabinetto Vieusseux di Firenze di cui Montale è direttore. Lei vive a New York, ma è in Italia per i suoi studi e vuole assolutamente conoscere il Poeta autore della raccolta “Ossi di Seppia”. «Siamo diventati amici!», scrive con entusiasmo la Brandeis in una lettera, «vestito con buon gusto, ma già vecchio a 37 anni (lei ne ha 28), molto gentile, davvero semplice, alquanto brutto e spesso, persino, piatto», mai una conversazione da cui salvare «dieci parole degne di essere ricordate», e poi «il grande poeta non sa parlare. Mi dice, umilmente, delle cose stupide. E mi piace adesso, non perché somiglia tanto alla sua opera, ma perché non ci somiglia affatto!»
Da quell’incontro nascerà una storia d’amore lunga e tormentata, segnata da lontananze e da promesse mancate. Montale idealizzerà poeticamente la figura di Irma al punto da farla diventare la mitologica Clizia cioè la figura femminile più importante della sua poesia. Lei assumerà contemporaneamente i tratti di donna reale e donna angelo che porta al poeta la salvezza dal disastro storico e personale che sta vivendo.
Si scriveranno per 6 anni, dal 1933 al 1939, e per 6 anni il poeta sarà combattuto tra l’invito di Irma a seguirlo in America e i ricatti affettivi della «Mosca» Drusilla Tanzi (moglie del critico d’arte Matteo Marangoni) con la quale ha una relazione.
Montale nel dicembre 1933 scrive “Mia cara Irma , io sono abituato a cibarmi di nuvole e lontananze, ma tu meritavi qualcosa di meglio! Io sarò sempre tuo, a tua disposizione , pronto a fare quello che vorrai, e persino a pensare quello che vorrai farmi pensare…non desidero di meglio che pensare con la tua testa e vedere coi tuoi occhi”.
La delusione di Irma per le incertezze di Montale traspare da una lettera del luglio del 1938: «Ho visto un uomo il cui cuore aveva ceduto e che forse aveva chiuso la sua mente, calandola solo su ciò che è malvagio e buio».
Montale coerente col suo «senso della vita filiforme» la saluta per sempre nel dicembre del 1939: «Io ti voglio bene più dei miei occhi e non so perché insisto a restar vivo». Rinuncerà a Irma e sposerà la «Mosca».
L’ultima lettera di Irma esprime il suo sentimento e il suo disappunto: «Purtroppo, io ti amo. Ogni cosa che fai per farti del male, la fai anche a me. Non posso sopportare questa nostra vita dolente e poco eroica, ridicola quasi, ma vedo che ormai è troppo tardi per porvi rimedio ».

Montale le dedicherà la raccolta Le occasioni, nella dedica iniziale troviamo “a I.B.”

Ti libero la fronte dai ghiaccioli
Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.

Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.

La lirica, un mottetto (antico componimento francese), fa parte della seconda sezione della raccolta Le occasioni pubblicata nel 1939 quando, durante il secondo conflitto mondiale, viene invasa la Polonia da parte delle truppe tedesche.
Il poeta immagina che Clizia giunga in aereo volando attraverso lo spazio siderale, come un angelo. Nel suo volo sfida i cicloni e gli alti cieli per portare il suo messaggio salvifico. Il poeta le libera la fronte dai ghiaccioli mentre lei gli libera l’anima dal freddo della sua assenza.
Nel giugno 1981, dopo quarant’ anni di silenzio, Montale invia ad Irma una copia dell’ Opera in versi, accompagnata da un biglietto in cui la chiama ancora «my Goddes, my divinity». E mentre lei sta organizzando un viaggio in Italia per rivederlo, il 13 settembre dello stesso anno, annota: «Telefonata da Glauco C[ambon]. Montale è morto».

Bibliografia:
Tutte le poesie, Eugenio Montale, Mondadori, I Meridiani 1984
Lettere a Clizia di Eugenio Montale, a cura di R. Bettarini, Mondadori, 2006