Osip e Nadežda – Salvare la memoria

 

Osip Ėmil’evič Mandel’štam (Varsavia 1891– Vladivostok 1938), poeta e saggista russo, nel 1911 aderisce alla “Gilda dei poeti” fondata da Anna Achmatova, da suo marito Nikolaj Gumilev e da Sergej Gorodeckij. Intorno a questo gruppo nasce il movimento letterario dell’acmeismo come reazione al simbolismo, che darà origine a un nuovo stile espressivo fondato sulla concretezza dei contenuti e sullo studio dei valori formali del verso, una poesia che potrebbe definirsi neoclassica. Nel 1913 Mandel’štam è tra gli autori del manifesto della corrente che verrà pubblicato nel 1919. Nello stesso anno esce la sua prima raccolta di poesie, Kamen (La pietra) e incontra Nadezda, una giovane pittrice ebrea, che sposerà nel 1921.


Nel 1933 Mandel’štam manifesta apertamente le sue tendenze anticonformiste e critiche verso il sistema staliniano con il celebre Epigramma di Stalin, dove Stalin è definito «il montanaro del Cremlino» le cui «tozze dita come vermi sono grasse». Sei mesi dopo viene arrestato, riesce a evitare la condanna al campo di lavoro, ma nel 1938, nuovamente arrestato, è condannato ai lavori forzati nell’estremità orientale della Siberia, dove muore poco dopo nel gulag di Vtoraja recka.
Morto il marito, per venticinque anni Nadezda, che in russo vuol dire Speranza, riesce a sfuggire all’arresto spostandosi continuamente da un villaggio all’altro. Per venticinque anni ripeterà costantemente a memoria le poesie del marito di cui non esistono più i testi scritti. Trascrivere le poesie sulla carta sarebbe un suicidio, Stalin fa distruggere i libri di tutti coloro che vengono eliminati, fa di tutto per uccidere anche la memoria.
“Bisogna lottare contro l’oblio anche a costo della morte” diceva Osip Mandel’stam.
Per la successiva generazione di artisti russi l’esempio di Nadežda incarnerà il valore della libertà individuale e artistica contro i regimi totalitari.
Iosif Brodskij (1940 – 1996), poeta russo vincitore del premio Nobel 1987, afferma in Fuga da Bisanzio (1987, Adelphi) come “imparare a memoria significa ripristinare l’intimità”. E’ l’intimità che Nadezda ha trovato nei versi del suo Osip.

A STALIN

Viviamo senza fiutare il paese sotto di noi,
i nostri discorsi non si sentono a dieci passi
e dove c’è spazio per un mezzo discorso
là ricordano il montanaro caucasico.
Le sue dita tozze sono grasse come vermi
e le parole , del peso di un pud, sono veritiere,
ridono i baffetti da scarafaggio
e brillano i suoi gambali.
E intorno a lui una marmaglia di capetti dal collo sottile,
si diletta dei servigi di mezzi uomini,
chi fischia, chi miagola, chi frigna
appena apre bocca e alza un dito.
Come ferri di cavallo forgia decreti su decreti –
a chi da’ nell’inguine, a chi sulla fronte, a chi nelle sopracciglia, a chi negli occhi
ogni morte è per lui una cuccagna
e l’ampio petto di osseiano.
(Osip Ėmil’evič Mandel’štam, novembre 1933)