Un bell’ambiente (2)

Gli allarmi della Scienza

Gli allarmi della Scienza

Dicevamo dei moniti e degli allarmi della Scienza. È ormai provato che il mondo è diventato e diventerà sempre più caldo. Ogni anno vengono battuti primati meteorologici, con temperature record, periodi prolungati di caldo e uragani fuori dal comune. Il clima sta cambiando più velocemente di quanto pensiamo. Per mantenere il pianeta vivibile va contenuto l’aumento di temperatura: a Parigi nel 2015 gli Stati si erano impegnati a stare sotto i 2°C, meglio ancora sotto 1,5°C. Ma a distanza di quattro anni facciamo peggio: le concentrazioni in atmosfera di CO2 e altri gas serra continuano ad aumentare e le temperature potrebbero crescere di 3,2° entro la fine del secolo. L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) avverte che non centrare gli obiettivi di Parigi comporterà enormi danni economici e sociali e ci esporrà a situazioni meteorologiche ancora più estreme: tifoni e uragani sempre più intensi, maggiore siccità e desertificazione, inondazioni, innalzamento del livello dei mari per lo scioglimento dei ghiacci artici, con la sparizione di molte nazioni insulari, come le Maldive o i Paesi del Pacifico, accelerazione dell’estinzione di molte specie di piante e animali, che non avranno il tempo di adattarsi alle nuove condizioni climatiche.

Impatti ambientali e sociali importanti avverranno anche con un aumento di 1,5°C, colpendo soprattutto i Paesi in via di sviluppo, gli ecosistemi artici, le regioni aride, le isole. Anche se riuscissimo a ridurre drasticamente le emissioni, gli effetti dureranno nel tempo: le masse terrestri, soprattutto i grandi corpi di acqua e ghiaccio, possono impiegare centinaia di anni per rispondere ai cambiamenti di temperatura, e ci vogliono decenni per rimuovere i gas serra dall’atmosfera. Il cambiamento climatico è ormai avviato, l’effetto serra sta già causando carenza di acqua dolce, mette a repentaglio la produzione alimentare, e già assistiamo ad alluvioni, tempeste, ondate di calore, con sempre maggiore frequenza. Se non riusciremo a invertire la rotta avremo sempre più morti per carestie e nuove ondate migratorie, nonché costi esorbitanti per rimediare agli impatti del clima e riparare i danni. Il che dovrebbe preoccupare anche i cinici, i freddi economisti, coloro che guardano solo all’aspetto venale e monetario.

Tanto più in tempi di nazionalismi e sovranismi, di profughi che bussano alle nostre porte e di crisi migratorie che occupano i titoli dei i giornali. I rifugiati, i migranti che rischiano la vita cercando di sfuggire alle condizioni disperate dei loro Paesi, sono vittime degli stessi drammi contro cui si battono gli ecologisti e gli amanti della natura. Non solo dunque guerre e persecuzioni politiche, ma anche fame, siccità, alluvioni, povertà cronica. Lo status di rifiugiati economici dovrebbe avere lo stesso valore di quello di rifugiati politici.

Non c’è quindi più tempo da perdere. Soprattutto se pensiamo che Paesi come India o Cina non hanno ancora raggiunto i livelli di consumismo dell’Occidente, ma ci arriveranno presto. Bisogna abbandonare fonti fossili come carbone, gas e petrolio, accelerare la transizione verso le energie rinnovabili, ridurre plastiche e imballaggi, sfruttare i rifiuti come fonte di energia,  fermare la deforestazione e salvaguardare la biodiversità.

Non solo i governi, anche i cittadini vanno sensibilizzati: sono frequenti i casi di disobbedienza o ribellione nei confronti di misure ambientali, come l’obbligo di usare sacchetti biodegradabili o di fare la raccolta differenziata dei rifiuti. In campagna elettorale non se ne parla mai, l’argomento non fa presa sulla popolazione.

Spesso poi le misure adottate per combattere il surriscaldamento si limitano a interventi troppo dispendiosi per i cittadini (come tasse sui carburanti, costosi lavori di riqualificazione delle case, pannelli solari e auto elettriche a prezzi di mercato) alla portata di poche tasche e perciò impopolari. Una minima parte della popolazione accetta o può permettersi queste misure, anche perché comunque salari e stipendi non aumentano in proporzione: pensiamo a come sono nate le proteste dei “gilets gialli” in Francia, per l’aumento delle accise sui carburanti. I governi dovrebbero invece investire di più per ridurre le emissioni incentivando altre misure, più appetibili per i cittadini, come trasporti pubblici alla portata di tutti, ferrovie meno care, sussidi per pannelli solari accessibili a tutti i portafogli.

(2 – continua)