E CESARE PERDUTO NELLA PIOGGIA

In occasione dell’anniversario della morte di Cesare Pavese vorrei riproporvi un articolo che ho scritto un po’ di tempo fa…

“…e Cesare, perduto nella pioggia

sta aspettando da sei ore

il suo amore ballerina…”

Alice dall’album Rimmel di Francesco De Gregori

La famosa canzone di De Gregori riassume la storia tra Cesare Pavese e una bellissima attrice americana, Constance Dowling. I due si conoscono in Italia nel capodanno del 1950. Lui s’innamora disperatamente, ma il suo amore non viene corrisposto. Lei ha alle spalle una storia finita male con il regista Elia Kazan. Quando il poeta le chiede di sposarlo, Constance rifiuta e progetta di tornarsene in America. Pavese allora le scrive una lettera drammatica il 17 aprile del 1950: “Carissima, non sono più in animo di scrivere poesie. Le poesie sono venute con te e se ne vanno con te.” Forse una fine annunciata. Pavese, lo scrittore degli amori perduti, incompresi e Constance la donna dell’illusione, del disamore. Scrive così alla data del 26 aprile 1950 nelle ultime pagine de Il mestiere di vivere: “Certo in lei non c’è soltanto lei, ma tutta la mia vita passata, Lei è la poesia, nel più letterale dei sensi.”.

Pavese associa a Constance, ai suoi occhi, la fine della vita, la morte dell’io poetico. La poesia Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, composta da due strofe di 19 versi novenari, è inserita in una raccolta dal titolo omonimo uscito postumo, nel 1951, insieme ad altre dieci poesie (otto in italiano e due in inglese) inedite. Le poesie risalgono alla primavera del 1950. Nella poesia verrà la morte e avrà i tuoi occhi è evidente la disperazione del poeta, alle prese con un tremendo mal di vivere.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

“Ora non scriverò più» aveva annunciato in una lettera indirizzata a un amico il giorno prima di togliersi la vita. «Farò il mio viaggio nel regno dei morti». E, difatti, non appena prende la decisione di smettere di scrivere, non trova più ragioni per restare in vita. La notte di sabato 26 agosto 1950, in una camera dell’albergo Roma in piazza Carlo Felice a Torino, Cesare Pavese deciderà di compiere quest’ultimo passo. Verrà ritrovato la sera successiva da un inserviente dell’albergo. Sul comò dieci bustine di sonnifero svuotate, della cenere sul davanzale della finestra e alcuni fogli bruciati chissà in preda a quale ultimo dubbio. Lascia un biglietto dove chiede a tutti di “non fare troppi pettegolezzi.”