Mi rifiuto (4)

Termovalorizzatori

Termovalorizzatori

I paesi del Nord Europa costruiscono termovalorizzatori in mezzo alle città. Come nella capitale danese Copenaghen, nel cui centro sorge il termovalorizzatore di Copenhill, con emissioni minime, che con la combustione dei rifiuti fornisce elettricità a 62mila abitanti e ne riscalda 160mila. È situato all’interno di un parco, sulle sue pareti si può fare arrampicata e sul suo tetto scosceso si può sciare tra gli alberi.

Leggi europee regolano oggi le emissioni dei termovalorizzatori per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini. La temperatura di combustione non puó essere inferiore a 850 gradi, per ridurre la formazione di diossine che, tuttavia, anche se in quantità minime, vengono comunque emesse. Le diossine sono cancerogene e bioaccumulabili, possono cioé risalire la catena alimentare fino all’uomo: un animale mangia erba dai terreni contaminati da diossine, l’uomo mangia alimenti prodotti da quell’animale, e si ammala. Perciò, anche se i termovalorizzatori ormai producono pochissima diossina rispetto al passato, quella poca prodotta si bioaccumula e resta negli anni.

Perció vivere nei pressi di un termovalorizzatore può essere in effetti pericoloso, da cui la sindrome “nimby”. Va però anche ricordato che i termovalorizzatori non sono né l’unica né la maggiore fonte di produzione di diossine. Nel 1990 l’incenerimento dei rifiuti era responsabile del 20% delle emissioni, mentre oggi lo è per meno del 3%. La combustione domestica (camini e stufe delle case) è invece passata nello stesso periodo dal 35% di emissioni nel 1990 al 40% di oggi. Gli inceneritori quindi inquinano e producono diossine molto meno di quanto facciano il riscaldamento domestico e l’industria. Tanto per fare un altro esempio, i botti di Capodanno a Napoli producono tanta diossina quanto 120 inceneritori in un anno.

Ma per completare l’economia circolare manca ancora un passaggio: il riciclo. La raccolta differenziata dei rifiuti non è la soluzione, non è un fine, è solo uno strumento. Abbiamo già detto che gli italiani differenziano il 52% della spazzatura: carta, plastica, vetro, metalli, legno, materiale organico. La quantità di materiali da riciclare aumenta di giorno in giorno, ma purtroppo l’offerta supera la domanda dell’industria e non cresce il mercato dei prodotti riciclati.

(4 – Continua)