Standard anestetici
I problemi personali – riguardo al lavoro, alla salute (anche mentale), all’instabilità economica, alla famiglia o alle relazioni sociali – sembrano affievolirsi dopo qualche ora passata a poltrire. E non è un caso che il termine “Goblin mode” sia stato lanciato nei mesi invernali, diffusosi poi su Twitter a febbraio: raffreddore, influenza, poca energia vanno infatti d’accordo con la modalità Goblin.
Modalità che abbiamo detto spinge a rifiutare le imposizioni estetiche della società, evitando di mostrarsi sempre ottimisti e sorridenti, tralasciando diete e “look” e preferendo piuttosto passare il proprio tempo dedicandosi agli hobby e alle piccole soddisfazioni personali, chiudendosi un po’ in se stessi. L’opposto dunque dell’immagine patinata e idealizzata mostrata di solito sui profili social, incoraggiando piuttosto a mostrarsi in situazioni più “normali”, in pigiama, sudati, spettinati, stravaccati sul divano, meno preoccupati dell’aspetto esteriore: nella vita vera di tutti i giorni. Una modalità che ha catturato lo stato d’animo soprattutto di chi si ribella agli standard estetici irraggiungibili e agli stili di vita insostenibili esibiti sui social media. Una tendenza confermata dall’ascesa di piattaforme come “BeReal”, in cui gli utenti condividono immagini non curate di se stessi, catturando momenti di autoindulgenza in modalità “Goblin”.
Fortunatamente, lo “smart working” introdotto durante i lunghi mesi del lockdown è stato mantenuto in molti casi come possibilità di lavoro da remoto, anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Possiamo così permetterci di continuare a lavorare da casa, magari in pigiama, senza raderci né curarci troppo dell’aspetto esteriore, col computer sulle gambe (in omaggio alla traduzione letterale di “laptop”) e sdraiati sul divano, come faceva Oblomov, che però non aveva il computer.
A differenza del personaggio di Gončarov, inoltre, noi non abbiamo servi della gleba al nostro servizio e ci tocca lavorare. E magari chissà, alzandoci un giorno dal divano per andare a migliorare quel mondo là fuori, che ci fa ancora tanta paura.
(3 – Fine)