È tutto un complotto (3)

Il triangolo di Kanizsa

Il triangolo di Kanizsa

Possibile che in vent’anni nessuno abbia mai confessato, magari dietro una cospicua somma, o fatto neppure un passo falso, lasciando scoprire una prova del complotto?

Intendiamoci: mettere in discussione ciò che ci viene detto o pretendere chiarezza su questioni ambigue è perfettamente legittimo, tanto più che tutti abbiamo creduto erroneamente a qualcosa, senza averne le prove. La nostra mente prende a volte delle scorciatoie, consolidando credenze che non abbiamo mai messo alla prova.

Il cervello tende infatti a individuare schemi conosciuti, a fare ordine nel caos, un po’ come avviene col “triangolo di Kanizsa”: un insieme di figure geometriche incomplete, in cui individuiamo due triangoli equilateri sovrapposti e tre cerchi neri, che in realtà non esistono. Questa propensione a individuare schemi (anche dove non ci sono) si è evoluta nei millenni per collegare cause ed effetti e riconoscere i pericoli. La nostra mente ci aiuta a colmare i vuoti, tramite le nostre esperienze e conoscenze. Si tratta di tendenze psicologiche universali: siamo tutti meno razionali di quanto pensiamo di essere, poco disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni, qualunque esse siano, e ad accettare prove che le smentiscano.

Anche per questo, le teorie cospirative e negazioniste prolificano laddove c’è ostilità, rivalità, dove la società è fortemente spaccata. Lo abbiamo visto durante i quattro anni della presidenza Trump negli Stati Uniti, dove la conflittualità si è inasprita e ha dato spazio ai complottisti di QAnon e alle loro teorie balzane e pericolose.

Il complottismo si nutre di un dibattito polarizzato, di un’esasperata distinzione tra “noi” e “loro” che alimenta sospetti e sfiducia reciproca. Siamo un po’ tutti a rischio, nessuno è immune dal pericolo. Pensiamo a quanti post sui “social media” trasudano odio e rabbia contro qualcuno; cerchiamo sempre di incolpare dei responsabili, magari inconsapevoli, che magari non congiurano volutamente, ma che comunque sono la causa di eventi negativi, di episodi riprovevoli a cui assistiamo. Forse nessuno di noi è poi così diverso da quei nostri antenati che vedevano entità soprannaturali e divinità muovere il sole, scatenare terremoti e giocare coi destini umani trattandoci come burattini. Probabilmente siamo davvero un po’ “burattini”, alla mercé delle nostre convinzioni e delle nostre ideologie, poco inclini ad accettare altre versioni, a pensare fuori dai nostri schemi precostituiti (quello che in inglese chiamano “out-of-the-box thinking”).

Ci comportiamo così diversamente dai complottisti che tanto condanniamo? Spesso,  quando le cose vanno male, quando tutto sembra andare per il verso sbagliato, càpita anche a me di prendermela con qualcosa o con qualcuno, e nel mio subconscio sono portato a credere che – se non proprio Soros o Big Pharma – perlomeno il destino stia complottando contro di me. A voi non succede?

(3 – Fine)