Cos’è la pace?
“Pace e bene a tutti” era la frase con cui padre Mariano, il frate più popolare d’Italia negli anni ‘60, apriva il suo programma televisivo, “La posta di Padre Mariano”. Si rivolgeva dagli schermi della Rai agli italiani, molti dei quali ancora analfabeti all’epoca, con un linguaggio semplice e comprensibile a tutti. E anche quell’augurio, quel termine “pace”, per anni, per decenni, è stato chiaro, univoco, senza generare malintesi. Il suo significato non lasciava spazio a dubbi: pace = convivenza pacifica, per l’appunto, tra persone e popoli. Nelle lingue parlate da popoli del Medio Oriente, l’arabo e l’ebraico, la parola “pace” (salam e shalom) è comunemente utilizzata come saluto quando ci si incontra, come il nostro buongiorno.
Eppure, da quando un anno fa è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina, il termine “pace” ha cominciato, soprattutto in Italia, a connotarsi in modi differenti, a innescare discussioni e controversie. Al punto che si è arrivati a organizzare diverse manifestazioni di piazza di pacifisti, in conflitto tra loro. Con tutta l’assurdità dell’espressione “pacifisti in conflitto”, che abbina due concetti che dovrebbero essere agli antipodi. La pace, per definizione, non può essere conflitto, ma non è nemmeno semplicemente assenza di guerra.
Intanto, non c’è pace senza giustizia. L’idea di pace nata dopo la seconda guerra mondiale abbraccia diversi valori, tra cui il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, l’autodeterminazione, la prevalenza della legge sulla forza, la sacralità della vita. E ovviamente il rifiuto della sopraffazione, della violenza, del sopruso, la difesa dei più deboli. Concetti tenuti insieme da due parole: democrazia e libertà. La cui conquista non fu ottenuta con la resa e col disarmo unilaterale, ma richiese una strenua resistenza armata da parte dei partigiani; e anche di inglesi e americani, che sbarcarono in armi in Normandia e in Sicilia pur non essendo direttamente coinvolti nell’occupazione nazifascista in Europa e in Italia. Dopo la guerra, una parte del mondo – l’Occidente – ha riconosciuto in quei valori la propria identità e li ha tradotti in costituzioni e istituzioni, come l’Unione Europea e la NATO. Istituzioni a cui hanno aderito anche molti Paesi dell’ex Unione Sovietica e dell’ex Patto di Varsavia, non appena sono potuti fuggire dall’abbraccio russo che li aveva soffocati per troppo tempo.
Non a caso quei valori sono stati oggi violentemente calpestati proprio dall’aggressione all’Ucraina da parte della Russia. Non è chiaro come far finire quella guerra, a meno di smettere di sostenere gli ucraini, lasciando quindi che la Russia li annienti. Ma una pace che premi un aggressore e i suoi crimini non è una vera pace, è solo una resa, è solo cenere sotto cui continua ad ardere la brace. Il mantenimento della pace dipende da come viene raggiunta e, per poter trattare, due contendenti devono partecipare alla stessa “competizione”: impossibile accordarsi sulle regole tra chi gioca a scacchi e chi fa pugilato, tra chi continua a bombardare e chi si difende. Al momento il Cremlino non sembra interessato a fermare i suoi piani, come spiegò Mario Draghi quando riferì di un colloquio telefonico avuto col presidente Putin: “Gli ho detto ‘la chiamo per parlare di pace’, e lui mi ha detto ‘non è il momento’. ‘La chiamo perché vorrei un cessate il fuoco’, ‘non è il momento’. ‘Forse i problemi li potete risolvere voi due, perché non vi parlate?’, ‘Non è il momento”.
(1 – Continua)