What a wonderful world (1)

Satchmo

Satchmo

The colors of the rainbow so pretty in the sky

Are also on the faces of people going by

And I think to myself: what a wonderful world!

(Adamson / Savitt / Watson)

Il 6 luglio del 1971, moriva a New York all’età di settant’anni Louis Armstrong, trombettista, cantante e musicista jazz tra i più celebri al mondo.

Nipote di schiavi afroamericani, era nato nel 1901 nei sobborghi più miseri di New Orleans ed ebbe un’infanzia povera e precaria. I giovanissimi genitori, non ancora ventenni, lo lasciarono presto a se stesso: il padre abbandonò la famiglia quando Louis era ancora neonato e la madre dovette darsi alla prostituzione per sopravvivere, mentre lui stesso finì presto in riformatorio.

Armstrong crebbe dunque sul gradino più basso della scala sociale di New Orleans, città di forti discriminazioni razziali ma culla di generi musicali – come il “ragtime” e il “dixieland” – da cui si sviluppò il “jazz”. Fu proprio la musica a cambiare il destino del ragazzino afroamericano, che si innamorò presto della tromba e iniziò suonando nelle strade e sui battelli lungo il Mississippi, diventando a poco a poco un riferimento per l’ambiente musicale cittadino. Nel 1922 emigrò a Chicago, città in pieno sviluppo, con buone occasioni di lavoro anche per gli afroamericani. Riuscì così a guadagnare abbastanza da poter vivere di musica e togliere la madre dalla prostituzione.

Dopo soli due anni fu invitato a New York a suonare con l’orchestra di Fletcher Henderson, la band afroamericana più famosa di quei tempi, che suonava nei migliori locali frequentati dai bianchi. Poté così mostrare il suo talento ai più grandi musicisti dell’epoca, fra cui Duke Ellington. Armstrong fu uno dei primi jazzisti a esibirsi in assoli di tromba, che eseguiva con personalità e stile. Aveva un modo tutto particolare di suonare, di posizionare il bocchino e di esercitarvi la pressione con la bocca, che divenne un suo carattere inconfondibile ma che alla lunga finì per deformargli le labbra, cosa che gli valse il soprannome di Satchmo, “such a mouth!” (“che bocca!”). Tra i suoi numeri di successo c’era anche lo “scat singing”, un modo inventato da Armstrong stesso di cantare senza parole, imitando gli strumenti musicali con la voce.

Le innovazioni interpretative di Louis Armstrong hanno permesso al jazz di evolversi ed espandersi, rendendolo un genere musicale popolare in tutto il mondo.

Durante la sua lunga carriera Satchmo si è esibito con molti musicisti e cantanti celebri, da Bing Crosby a Duke Ellington, a Bessie Smith e soprattutto Ella Fitzgerald. Tra le sue canzoni più conosciute ricordiamo “What a Wonderful World”, “Stardust”, “When the Saints Go Marching In”, “Dream a Little Dream of Me”. Uno dei suoi più grandi successi, “Hello, Dolly!” sorpassò addirittura i Beatles nella “hit parade” americana del 1964, permettendo così ad Armstrong di diventare il cantante più anziano con un brano al primo posto.

Satchmo partecipò anche al Festival di Sanremo del 1968 col brano in italiano “Mi va di cantare”, in coppia con la sua amica Lara Saint Paul. Siccome non conosceva nemmeno una parola d’italiano, cantò leggendo il testo scritto secondo la pronuncia anglofona (“ciao” era scritto “tchao”, “perché” era scritto “perkay” eccetera), con un effetto finale abbastanza esilarante.

(1 – Continua)