La prima e l’ultima (2)

Il basement di Saratoga Avenue

Il basement di Saratoga Avenue

Mi misi anch’io a fare suoni, a gridare in giro per le varie stanze vuote per sentire l’eco della mia voce rimbalzarmi addosso. Sembrava che ci fossero fantasmi nascosti dietro le pareti che mi rispondevano. Continuai a duettare cosí con gli spettri per un po’, finché non fu il momento di andarcene da quella strana casa. Per tornarci qualche giorno dopo, insieme ai mobili.

Mi ambientai presto nella casa di Saratoga Avenue. Fu lì che trascorsi anche il primo Natale di cui ho memoria, quello in cui per pochi pochi attimi persi l’opportunità di incontrare Santa Claus in persona, come ho già raccontato.

Però, con le stanze ammobiliate, non c’erano più echi e fantasmi con cui giocare. Mi dovetti cercare quindi altri passatempi. Un giorno scoprii che con una scaletta si scendeva in un “basement”, come lo chiamavano i miei genitori: una grandissima stanza che occupava tutta la superficie della casa, ma sottoterra. Lí era stato messo anche un vecchio pianoforte di mia mamma. Cosí mi inventai un nuovo gioco: scendevo giù nel basement, mi immergevo in quel mondo misterioso e sotterraneo e coi tasti più bassi del pianoforte creavo tempeste e temporali, fingendo di trovarmi nella stiva di una nave, coi tuoni che rimbombavano per tutto lo scantinato.

Dunque laggiù, mi ero convinto, si erano nascosti anche i fantasmi che avevo sentito il primo giorno che visitammo quella casa. E li sentivo ancora, suonavano il piano insieme a me. Impauriti dal nostro arrivo, si erano rifugiati in quello scantinato; ma se avevano paura di noi, allora non dovevo averne paura io. Cosí continuai per anni (mi sembró un’eternità, ma furono solo due anni o poco più) a scendere giù nel basement, a giocare con le note basse, a fare il pirata nascosto nella nave in tempesta.

Arrivò poi il giorno in cui dovetti abbandonare per sempre il mio rifugio, il mio pianoforte, i miei fantasmi e la mia nave immaginaria. Ma era per salire su una vera nave – possibilmente senza tempesta: dovevamo trasferirci in Italia. Avevo allora cinque anni, ero già abbastanza grande, ma non avevo alcuna idea di cosa fosse né di dove fosse l’Italia. Dall’altra parte del mare, mi dissero i genitori, dove saremmo andati con una grande nave, un transatlantico. Con un grande balzo nello spazio-tempo dei miei ricordi.

(2 – Continua)