Jethro Tull e la freschezza del passato – di Alessandro Gatta

Un manifesto, un servizio al giornale radio, un’intervista su Repubblica e in pochi giorni il nome di Ian Anderson è comparso più volte, annunciando un mini tour di 4 serate in Italia, a Roma (Auditorium Parco della Musica) Venerdì 23 Giugno. Ian Anderson, il flautista magico dei Jethro Tull, un riferimento per tutti gli amanti del progressive, gruppo amato forse non da tantissimi, ma molto rispettato. All’interno del suggestivo panorama degli anni 70-80 i Jethro Tull non hanno riportato un’aura permanente, come la trasversalità popolare dei Queen, l’epicità dei Pink Floyd, la drammaticità dei Led Zeppelin o il ritmo dei vip della dance.

Gli anni di maggiore brillantezza, e questo coincide per quasi tutti i gruppi dell’epoca, corrispondono agli anni tra il 1968 e 1973 con i primi 6 album: This Was (1968) Stand Up (1969) Benefit (1970) Aqualung (1971) Thick as a Brick e Living in the Past (1972). Da lì in poi i Jethro Tull seguiranno lo stesso destino del progressive, sempre più accademico e finalizzato alla costruzione musicale, e sempre più povero di emozione. È il ricomporsi dell’immaginario nell’industria musicale,  la cultura giovanile che non vuole più stupirsi di nuovi orizzonti, citazioni originali e stili diversi; il prog perde l’emozione e l’innocenza.

I Jethro Tull si danno subito l’identità tradizionale, diretta e accattivante del buon vecchio sano gruppo rock progressive. Non si fanno mancare niente, come il nome, che deriva dal pioniere della moderna agricoltura l’inglese Jethro Tull (XVII sec), analogamente ai Van der Graaf Generator o come l’attenzione per le copertine degli LP, tra cui la storica copertina di Aqualung e il memorabile giornale copertina del concept album e suite Thick as a Brick.

I  primi dischi stupirono allora, e sono un piacere per le orecchie ancora oggi. Una musica ricca di citazioni e reinterpretazioni classiche, con venature rock e blues. Definizioni così ampie che non risolvono la ricchezza e soprattutto la particolarità del suono dei Jethro Tull. Prima di tutto è un gruppo radicalmente inglese, dove il blues confina con il folk e con le sonorità country assolutamente britanniche. Se i Genesis richiamano l’Inghilterra fabiesca e favolistica, i Jethro Tull sembrano parlare di foreste, di menestrelli, di antica musica suonata insieme di fronte a un fuoco. Questo riferimento al passato colloca la classicità del gruppo in epoca mediovale e rinascimentale, si riferisce alle corti, ai ritmi scanditi della musica camera. Siamo negli anni 1968-1978, il rock sposa melodie e suoni classici  (appunto il cosidetto “progressive”) con esiti più sinfonici e e imponenti, sia nelle “cover” vicine all’originale (come Sibelius o Mussorgsky nelle mani di Keith Emerson) sia nella struttura di suite concept (una per tutte Atom Heart Mother dei Pink Floyd del 1968). Da queste parti invece è il flauto di Ian Anderson a menare la danza, disegnare virtuosismi e assoli senza respiro, a segnare in modo inconfondibile le sonorità dei Jethro Tull, e la sua voce agile e nasale, a ricordare a legare raccontare.

Nell’ipotetica top cinque dei pezzi che raccontano la  storia dei Jethro Tull:

Dharma For OneBourèeAqualung, Thick as a BrickLiving in the Past  Non senza ricordare altri brani notevoli, come Locomotive Breathe per l’energia, o  Cheap Day Return per la poesia, o il drammatico My God, l’incantevole Moother Goose.

Come per tutto il prog, i pezzi dei Jetrho Tull sfuggono la struttura tipica della canzone, la forma strofa-ritornello, e raccontano liberamente cambiando toni ritmi sonorità e assoli nello stesso “racconto” musicale (Aqualung e My God esempi bellissimi), usando l’introduzione lo sviluppo il prefinale e il finale, come appunto per un racconto.

Nell’intervista a Repubblica del 28 Aprile Ian Anderson ricorda la scelta del gruppo di non aderire concerti o mode hippy o a tendenze controculturali. E questo forse è stato il limite del gruppo, rimasto lontano dall’emozioni e dal romanticismo che legano i maggiori  eroi degli anni ’70 al loro pubblico. Ma risentire gli LP dei Jethro Tull o  ascoltare dal vivo un virtuoso con Ian Anderson è un’esperienza non datata, che suona ancora fresca dell’ingenuità antica sia per chi ha iniziato ad apprezzarli all’epoca, sia  per l’ascoltatore che ama scoprire le “novità” nel passato.