
La madre era di origine ebraica e aveva avuto per insegnante d’inglese a Trieste James Joyce. Il padre era un chimico importante ma amava la letteratura e ne scriveva. Il nonno, Domenico Comparetti, era stato un papirologo ed epigrafista di chiara fama e morendo aveva ottenuto che i figli delle sue figlie conservassero il suo cognome.
Lorenzo nasce in una famiglia così: coltissima e appassionata di cultura di ogni genere. I suoi genitori – Alice e Albano – non sono neppure sposati, convoleranno a nozze solo dopo, e di nascosto dai contadini che curano le loro terre, che non sanno di avere come “padroni” una coppia “illegale”. Ma loro che hanno respirato tutta la vita aria mitteleuropea, sanno che cosa sta succedendo in Germania e hanno capito che le leggi razziali stanno per arrivare anche in Italia e che è bene mettere al sicuro la propria famiglia. Per questo motivo si sposano e ancora prima fanno battezzare i figli: Adriano, Lorenzo e Elena.
Nessuno può immaginare che di lì a qualche anno Lorenzo sentirà la “chiamata” e abbraccerà non solo la fede ma anche il sacerdozio.
Sarà fin da subito un prete scomodo Lorenzo Milani Comparetti, uno che in seminario si lamenta per come viene insegnata la teologia, uno che all’esame fa scena muta per protesta, uno che, appena lo mandano a fare l’aiutante del proposto di San Donato a Calenzano si rende conto che i fedeli alla messa non capiscono quello che dice, perché non sanno leggere né scrivere e quindi non sanno liberarsi dal giogo dei padroni.
Lorenzo crede che solo con la conoscenza si possa progredire – è la ragione laica che lo sostiene – ama i suoi fedeli e ama la Chiesa, di cui si sente lo sposo. Ha bisogno dell’istituzione perché vuole confessarsi, vuole il perdono, vuole essere compreso, vuole che tutti parlino la sua stessa lingua. Che è una lingua d’amore combattente.
Lorenzo non molla mai e per punirlo di aver fatto scuola a tutti, anche ai comunisti – che negli anni successivi al fascismo e alla seconda guerra mondiale, sono lo spauracchio della Chiesa e dei democristiani -, lo mandano a Barbiana, un borgo sperduto sul monte Giovi. Il parroco che la presiede va via e la canonica dovrebbe chiudere, lo sanno tutti. Lì Lorenzo trova una cappella ammuffita e un centianio di anime sperse nelle case in montagna, sono diffidenti e chiusi gli abitanti dei dintorni di Barbiana. La famiglia di Lorenzo è ricca e anche potente, potrebbe aiutarlo ad evitare tutto questo, ma lui non chiede di essere trasferito, obbedisce alla Curia, e per dimostrare che sarà fedele anche a quella gente, si compra la tomba a Barbiana come primo gesto di appartenenza, e scrive al suo padre spirituale don Bensi: “se mi vorranno trasferire altrove io non accetterò. Mi farò certosino di quelli di clausura, così la smetteranno di rompermi le scatole”.
Non è un prete facile Lorenzo Milani, scrive un libro che, nonostante l’imprimatur del Sant’Uffizio, dopo soli otto mesi dalla pubblicazione viene ritirato dal commercio. La Curia fiorentina lo colpisce con provvedimenti disciplinari o tenta di ignorarlo, e lui non si dà pace: vuole riconoscimenti non tanto per se stesso, quanto per i suoi ragazzi che devono affrancarsi dall’ignoranza e dalla povertà. Prepara i più giovani all’esame di avviamento al lavoro, e quando gliene bocciano uno va a protestare di persona. Insegna ai suoi allievi a costruirsi le cose, a leggere, a far di conto, a ragionare. Inventa la scrittura collettiva, che strutturerà uomini e donne pronti alla dialettica, a sapersi difendere, a spiegare le proprie ragioni e, cosa importantissima, a capire le ragioni degli altri.
Lavora sempre, dall’alba a notte fonda: porta i ragazzi alla Scala di Milano a vedere l’Opera ma li porta anche in fabbrica, difende gli obiettori di coscienza – e per questo subirà più d’un processo -, costruisce un astrolabio per guardare il cielo, manda i suoi studenti all’estero, inaugurando una specie di Erasmus ante litteram, a fare esperienza sul campo, a lavorare e a imparare le lingue straniere, insegna a fare statistiche sulla scolarizzazione e sulle elezioni, porta i giornali in classe e permette ai ragazzi di scrivere a tutti i potenti della terra, se lo vogliono, basta avere qualcosa di serio e di ponderato da dire. A Barbiana ci vanno in tanti da tutto il mondo a scoprire qual è il segreto di quella scuola. Ma il segreto non c’è, c’è lui dietro a tutto, ci sono la sua testa aperta, la sua cultura e la sua cocciutaggine, c’è la sua regia, c’è quell “I care” che diventa il suo motto, e che è – dice – il contrario del “Me ne frego” fascista.
Muore giovanissimo Lorenzo Milani, a 44 anni, dopo una lunga malattia.
Muore nel 1967, il sessantotto è lì che aspetta di essere inaugurato e il suo Lettera a una professoressa ne diventa uno dei manifesti portanti. Lui passa per quello che non era: un prete rosso che voleva il 6 politico, un ideologo della disobbedienza tout court. Ma ormai è morto e non può più dire la sua, non può ribellarsi, come ha sempre fatto, alle mistificazioni, alle etichette che vogliono mettergli addosso.
A custodire il suo ricordo e anche la sua Barbiana, restano i suoi allievi, quei ragazzi che lo hanno accudito fino alla morte e che ormai sono molto più vecchi di lui. Loro non hanno mai smesso di difendere la sua memoria e sono gli unici a sapere veramente com’era e che cosa pensava don Milani.
E per loro, per i suoi ragazzi, sono le parole del suo testamento: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”.
lunedì 26 giugno ore 21,10 rai storia
DON LORENZO MILANI – IL PESO DELLA LIBERTA’
di Simona Fasulo
regia di Nicoletta Nesler
montaggio Ilaria Cecchini