Dogman

Matteo Garrone ritorna nelle sale con un nuovo film, teso, trascinante e di immediato impatto, che arriva diretto al cuore e alla mente.
Più o meno liberamente ispirato alla vicenda del “ canaro della Magliana “ del 1988, vicenda di rara e efferata crudeltà, che tanto spazio ebbe nelle cronache del tempo, Dogman racconta la storia di Marcello, mite e dolce proprietario di una toelettatura per cani, e del suo persecutore Simone, boss cocainomane del quartiere, ai limiti della follia, dei suoi soprusi e della sua cieca, continua ostentazione della forza, ottuso e crudele tiranno, che minaccia, umilia, picchia, taglieggia, e che il quartiere ricambia con un odio feroce, augurandosi che, prima o poi, qualcuno lo uccida.
Tutto è, come sempre nei film di Garrone, perfetto fin nei minimi dettagli. La regia, attonita e desolante così come i personaggi, la colonna sonora, le interpretazioni magistrali degli attori, la fotografia scarna e impietosa, l’ambientazione in un dimenticato quartiere periferico ai bordi di un mare degradato, una location che potrebbe essere tranquillamente le Vele di Scampia o il litorale di Latina de “ L’imbalsamatore “, e è invece una sub-borgata di Roma.
Marcello, più debole fisicamente e di animo buono e gentile, finisce per allearsi con il gigante cattivo Simone, a cui procura la cocaina, e che accompagna in piccole attività criminali, furti nella zona, spaccio e ricettazione.
Dogman è però capace di parlare anche di amore, e due sono i forti amori di Marcello: la deliziosa figlia Alida e i cani di cui si occupa con appassionata dedizione,
e che non a caso chiama tutti “ amore “, dal delicato barboncino ai mastini e bulldog più furenti e pericolosi.
Ma su tutto, anche su questi disinteressati e puri amori, si schianta la paura e il rancore di un intero quartiere, tiranneggiato e umiliato da Simone, che altro non ha che la sua fisicità e la sua ottusa cattiveria, assoluta e incomparabile, come solo la cattiveria delle persone senza anima né cervello possono essere.
Il film è una lenta discesa verso un inferno disumano, e quando Simone coinvolge Marcello in un reato più grave, questi finisce per autoaccusarsi per una, non compresa da nessuno, lealtà verso l’amico carnefice e soprattutto per paura. Al posto di Simone, Marcello va in galera per un anno, e da questa esperienza esce più determinato e solido, per affrontare Simone, e implodere in una ragionata vendetta, riscatto del debole verso il forte, del giusto contro l’ingiusto, del bene contro il male, dell’intelligenza contro la malvagia stupidità, una redenzione dello spirito che inevitabilmente deve passare per il corpo, perché è solo questa la dimensione che Simone mostra di riconoscere.
Garrone, però, non indulge negli effetti splatter e morbosi del fatto di cronaca che tanto appassionò l’Italia né eccede in particolari cruenti, e nonostante scene in cui il sangue scorre e inonda lo spettatore, non può essere definito un film violento.
È un noir dell’anima, teso e ansioso, dalle atmosfere cupe e orrorifiche, con Simone che gira solitario su una moto di grossa cilindrata e tanto ricorda l’orco de “ Il racconto dei racconti “, sicuramente l’opera capolavoro del regista.
Racchiuso in un microcosmo cattivo, brutto, triste, squallido, nel mondo di Marcello non c’è posto per la solidarietà e l’amicizia, nonostante lui sia benvoluto nel quartiere e nel branco che lo abita. La vendetta, da tutti tanto attesa e progettata, arriva per il tradimento e l’abbandono da parte di Simone, che non vuole dare a Marcello la ricompensa che gli spetta per aver messo a disposizione della bestia il suo negozio, confinante con il Compro Oro svaligiato. Nonostante tutto, Garrone confeziona un film profondamente etico, e malgrado lo snodarsi degli eventi, sempre più cupi e tragici, non indulge mai né si compiace della vendetta che Matteo compie non solo per sé, ma anche per il quartiere e l’intero mondo degli ultimi, sopraffatti e umiliati, relegati in un incubo senza fine, in un quotidiano che si ripete giorno dopo giorni, tra il bar, la sala giochi e la droga, in un una completa mancanza di bellezza e attenzione per l’altro.
Come sempre, Garrone offre al pubblico una storia che appare spaventosa e priva di ogni barlume di speranza o cambiamento, chiusa in un’ignoranza spettrale, in cui spicca la figura di Matteo, unico uomo che è degno di essere chiamato uomo.
Un grande film potente e realistico senz’altro da vedere, e non solo dagli ammiratori di Garrone. Resterete forse sconvolti o perfino disgustati, ma non vi pentirete di aver scelto Dogman e la sua avvincente narrazione.

Titolo: Dogman
Regia: Matteo Garrone
Genere: drammatico
Attori: Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi, Alida Calabria
Premio: Marcello Fonte miglior attore
Paese: Italia, Francia
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 102 minuti