
Quand’ero bambina ogni domenica mio padre tornava a casa con un fascio di giornali: il suo solito quotidiano, la rivista di motori che gli piaceva, il settimanale per mia madre, la Settimana Enigmistica e i fumetti per me e mia sorella. Leggevamo Topolino, e le storie mi sembravano bellissime. Era un appuntamento importante, avevo le mie preferenze tra i personaggi – Paperoga mi piaceva meno degli altri, i gialli a puntate con Macchia Nera o con i Bassotti di più, avevo una passione “spaventata” per Amelia e Brigitta. Dentro quelle storie c’era sempre una sceneggiatura di ferro, semplice, alla portata dei bambini lettori, i dialoghi erano essenziali e il linguaggio espressivo. Grunf, gasp, sob entravano di diritto nel parlato comune dei piccoli. E ci sono rimasti a lungo.
Nell’infanzia esperienze diverse, a proposito di fumetti, ne ho fatte, ma erano subìte più che scelte: quando papà arrivava tardi all’edicola e i Topolino erano finiti ripiegava su Monello, Soldino, L’intrepido, ma quei disegni non mi entusiasmavano, e nemmeno i racconti. Crescendo mi sono appassionata a Alan Ford, Linus, a Dylan Dog, ho apprezzato Paz, Crepax, Altan. Corto Maltese e Valentina sono capolavori e Paz è inimitabile, ma ho smesso presto di leggere fumetti. Poi, due settimane fa, mi sono imbattuta in un’opera intera di Zerocalcare.
Ovviamente lo conoscevo già e mi piaceva, ma come piacciono le cose che in realtà non ci appartengono, non ci riguardano veramente. Invece Macerie prime mi ha appassionato al punto che mentre stavo alle ultime pagine del libro, mi sono procurata anche Macerie prime sei mesi dopo.
Banali considerazioni: la lettura delle storie a fumetti, come al cinema o a teatro, implica una cessione di diritti – quello, fondamentale per un lettore, di immaginarsi i personaggi, gli ambienti. Implica anche di sapersi adattare ad un linguaggio non puramente narrativo, in parte affidato ai disegni in parte ai dialoghi, in parte alle didascalie. E una sola pagina contiene quasi sempre tutte e tre le forme espressive, per chi non è abituato può essere un’esperienza navigarci dentro, prendendo consapevolezza che ogni forma ha un suo proprio linguaggio.
C’è una storia vera come in un romanzo, con personaggi, plot, colpi di scena, desideri, dubbi, ci sono tutti gli ingredienti necessari perché un libro appassioni.
Zerocalcare, pseudonimo di Michele Rech, classe 1983, il suo nickname l’ha copiato dal ritornello di uno spot televisivo per un prodotto anti-calcare. I personaggi di Macerie prime e Macerie prime sei mesi dopo sono lui e alcuni dei suoi amici storici, quelli dell’adolescenza, dai quali si è allontanato da che la sua vita è cambiata. Cinghiale, Katia, Secco, Deprecabile, Christine, Guliacometti e Sara hanno ognuno un percorso di vita, che è spesso in crisi e in qualche modo mettono l’autore di fronte alla scelta delle scelte: crescere o non crescere? Il suo sé è rappresentato da sempre dall’armadillo, che induce un pensiero analitico pieno di sensi di colpa, di buonismi, di incartamenti e arzigogoli meravigliosamente spiegati. Ma nel primo dei due libri Armadillo viene sostituito da Panda, che sembra sia finalmente il personaggio animale giusto per tirarlo fuori dal pantano in cui si caccia quando non sa dire no. Panda sarà davvero la scelta giusta per uscire dai sensi di colpa e vivere senza ansia?
La storia è divertente e pure istruttiva per ogni generazione, perché racconta un passaggio di vita – quella delle scelte al bivio – e un pezzo di attualità che appartengono a tutti.
MACERIE PRIME – 2017 (PAGG 185)
MACERIE PRIME – SEI MESI DOPO – 2018 (PAGG 191)
DI ZEROCALCARE
BAO PUBLISHING EDITORE