Cingoli, nelle colline marchigiane dove s’incontrano Lorenzo Lotto e un papa

Cingoli, nelle colline marchigiane dove s’incontrano Lorenzo Lotto e un papa

Nei libri delle riformanze comunali di Cingoli, alla data del 25 febbraio 1537 è registrata una “supplicatione” del priore della chiesa di San Domenico al Comune di Cingoli: il religioso chiedeva all’amministrazione cittadina di contribuire alle spese di realizzazione di una “conam” (cioè di un’ancona, ovvero di una pala d’altare) da destinare alla chiesa stessa, dato che le elemosine raccolte dalla confraternita del Rosario, committente del dipinto, non erano state sufficienti. Il Comune acconsentì con un’elargizione di 40 fiorini, che sarebbero stati però saldati a esecuzione del dipinto finita. Si apriva così la vicenda della Madonna del Rosario di Lorenzo Lotto, il maggior capolavoro della cittadina marchigiana, nonché una delle opere più straordinarie di tutta la regione. Una Vergine che tiene un bimbo particolarmente agitato e nel frattempo dona il rosario a san Domenico, mentre sul lato opposto sant’Esuperanzio, patrono di Cingoli (a lui è intitolata la duecentesca collegiata di Sant’Esuperanzio, massimo monumento gotico della città), le offre un accurato modellino del borgo. Attorno, in piedi, simmetrici, i santi Maddalena, Vincenzo Ferrer, Caterina da Siena e Pietro martire. Al centro, alcuni putti che mescolano fiori e acqua in un grande secchio. Il san Giovannino, in piedi, rivolge l’indice verso l’alto: non si sa se per indicare la Madonna o la firma del pittore. E sopra, i misteri del rosario, divisi tra quelli gioiosi, quelli dolorosi e quelli gloriosi, inscritti dentro grandi medaglioni.

I frati di San Domenico riscossero i 40 fiorini promessi nel dicembre del 1539, quando la pala era già stata terminata da qualche mese. Da allora, il capolavoro di Lorenzo Lotto non s’è più mosso da Cingoli, fatta eccezione per alcune mostre. E da allora, numerosi artisti locali vi si sono ispirati, e la pala di San Domenico è diventata una sorta di prototipo per tutti i dipinti di analogo soggetto eseguiti in zona. Secondo Roberto Longhi, quest’opera costitutì il precedente anche per una celebre tela di Caravaggio, la Madonna del Rosario oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Certo è che si tratta di uno dei principali motivi per cui ci si reca a Cingoli, anche se oggi non è più dato vedere, almeno temporaneamente, la pala di Lorenzo Lotto nella sua ubicazione originaria: problemi di agibilità della chiesa hanno portato al provvisorio trasferimento in una grandiosa sala del Palazzo Comunale, un’aula dove corre un fregio che reca gli stemmi di tutte le antiche familie nobili della città, e che è chiusa sul fondo dall’apparizione della superba tela lottesca.

A quel tempo, Cingoli era una placida città della Marca, parte dello Stato Pontificio. Anzi: era una delle regioni più ricche dello Stato della Chiesa, tanto che Lorenzo Lotto lavorò per decenni in queste terre, pagato molto meglio che altrove dai ricchi committenti locali (anche se la pala di San Domenico fu l’unica che realizzò per Cingoli). Ma la storia di questo borgo incastonato tra le verdeggianti colline della valle del Musone non è sempre stata così tranquilla: all’epoca della Guerra degli Otto Santi, tra il 1375 e il 1378, Cingoli, che all’epoca non era poi così diversa da come la conosciamo oggi (cinquemila abitanti contro i quasi diecimila odierni, che però tengono conto anche di tutte le frazioni), fu tra le città che si ribellarono all’autorità pontificia di papa Gregorio IX. In quel frangente, un potente cingolano, Masio Cima, era podestà di Firenze, e Firenze era a capo della lega che combatté contro il papa: per i Cima non fu dunque difficile impadronirsi in armi di Cingoli, cacciando il podestà che rappresentava il pontefice in città e facendo sventolare sul Palazzo del Comune le loro insegne al posto di quelle papali. Gregorio IX rispose con la scomunica per l’intera Cingoli, cui seguì l’interdetto pronunciato dal vescovo di Osimo. Si trattò però di una ribellione effimera, dal momento che nel 1377 il papa riconquistò la città. La pace di Sarzana, nel 1378, sancì la fine delle ostilità e il successore di Gregorio IX, Urbano VI, decretò il perdono per i ribelli, e per i Cima non ci furono conseguenze gravi, anzi: mantennero la loro egemonia su Cingoli, pur senza riconoscimenti formali.