
La plastica ne è ormai entrata a far parte
Otto milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare ogni anno. Comprese quelle che si trovano in alcuni prodotti cosmetici come scrub o dentifrici. Si frammentano fino a diventare piccole particelle, un insieme di polimeri invisibili a occhio nudo, e diventano ‘microplastiche’, che ci ritroviamo in tavola. Le microparticelle sono frammenti plastici di dimensioni comprese tra il mezzo centimetro e gli 0,1 micrometri, cioè circa 100 volte più piccole di un capello umano. Le nanoparticelle, che possono originarsi dalle microplastiche in seguito a un’ulteriore degradazione, hanno dimensioni comprese tra 1 e 100 nanometri, cioè fino a 80 mila volte più sottili di un capello. Le nanoparticelle negli alimenti sono state più volte al centro del dibattito per la mancanza di dati certi sulla loro sicurezza. La catena della loro contaminazione appare lunga e complessa. La microplastica è tutt’altro che innocua: vettore principale per sostanze tossiche come interferenti endocrini, molecole cancerogene e batteri. Secondo lo studio dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), dal titolo “Primary microplastics in the oceans“, le microparticelle possono contribuire fino al 30% della cosiddetta “zuppa di plastica” che soffoca i nostri mari. Anzi in molti Paesi sviluppati, in particolare in Nord America e in Europa – sottolineano i ricercatori – queste particelle sono una fonte di inquinamento maggiore dei più comuni rifiuti di plastica. “Una potenziale preoccupazione riguarda le elevate concentrazioni di agenti inquinanti quali i policlorobifenili (PCB) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), che possono accumularsi nelle microplastiche” afferma Peter Hollman, ricercatore capo presso l’istituto di ricerca Rikilt nonché professore associato di nutrizione e salute presso l’Università di Wageningen nei Paesi Bassi. “Potrebbero anche esserci residui di composti utilizzati negli imballaggi, come il bisfenolo A (BPA). Alcuni studi indicano che le microplastiche, dopo il consumo negli alimenti, possono trasferirsi nei tessuti. Sappiamo che le nanoparticelle di sintesi (da diversi tipi di nanomateriali) possono penetrare nelle cellule umane, con potenziali conseguenze per la salute”.